
Il cammino intrapreso oggi ci porta a meditare la settima beatitudine:
«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5, 9)
Il saluto più ripetuto nella Bibbia è «Shalòm», che noi traduciamo con «desidero la pace per te».
Ma nel nostro linguaggio corrente la parola «pace» impoverisce il senso che le dava la Scrittura e che è poi quello che le attribuiva certamente Gesù nella sua settima beatitudine del discorso della montagna.
«Shalòm» designava la pienezza di ogni bene, l’abbondanza, il benessere. Quando in ebraico si augura «Shalòm», si augura una vita bella, piena, prospera, ma anche secondo la verità e la giustizia.
Potremmo dire che «pace», sulla bocca di Gesù, è sinonimo di quel «regno di Dio» che Egli cercò così appassionatamente nella sua vita. È per questo che, nel vangelo di Giovanni, troviamo frasi come questa detta ai discepoli nel suo discorso di congedo: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27).
La sua è molto di più di quella «pseudo-pace» che alle volte si pretende far regnare tra di noi. Come ad esempio, nei tempi passati, la famosa «pace romana», ottenuta a furor di legioni, cioè imposta con la forza e la guerra. O come quella che regna in una famiglia dove si evita semplicemente di affrontare i problemi, perché «si vuole stare in pace», facendosi ognuno «i fatti suoi». Anche nei cimiteri c’è molta pace, ma è la pace della morte!
Gesù non vuole la pace della morte, ma della vita. Quella pace che Egli ha cercato con passione durante tutta la sua vita e che ha raggiunto nel momento della sua risurrezione. Una pace che è sinonimo appunto di pienezza di vita. La pace ha compimento nel Messia, che è il Principe della pace (cfr Is 9, 6; Mic 5, 4-5).
San Paolo scrive che la pace di Cristo è «fare di due, uno» (cfr Ef 2, 14-17), cioè annullare l’inimicizia e riconciliare. La strada per compiere questa opera di pace è il suo corpo. Egli infatti riconcilia tutte le cose e mette pace con il sangue della sua Croce, come dice altrove lo stesso apostolo (cfr Col 1, 20). In questo modo il Signore Gesù ci dona la sua pace. Quella vera, che il mondo non può darci!

Nel vangelo di Giovanni c’è una narrazione piena di suggestione. Racconta di qualcosa avvenuto la sera della Pasqua. Gesù, appena risorto, si presenta vivo in mezzo ai suoi discepoli impauriti e li saluta con le classiche parole imparate dalla tradizione del suo popolo: «Pace a voi!». E dopo aver mostrato loro le mani e il costato, ripete di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20, 19-21). Come a dire: «Ecco la vostra missione nel mondo, prolungamento della mia: andate a operare la pace. Per questo vi do il mio Spirito». La pace è il primo dono del Risorto, è dono di Pasqua.
Non solo fruitori, ma anche e principalmente operatori di pace, della sua pace: è questa la vocazione di chi dice di seguire Gesù. E operare la pace significa lavorare per sradicare dal mondo, piccolo o grande che sia, tutto ciò che genera morte, e per assecondare e far crescere tutto ciò che genera vita. Una vocazione stupenda a cui si connette una grande promessa di felicità.
La pace che Dio ci dona non è una sorta di tranquillità interiore, quiete, armonia, equilibrio interno. Né la pace di Gesù è la semplice assenza della guerra. È molto di più. È la giusta attuazione dei rapporti con Dio, con se stessi, con gli altri, con la natura, con le cose…
Ma, proprio per questo, è anche assenza di guerra. E di guerre ce ne sono tante nel mondo attuale. Guerre aperte, portate avanti per anni e anni utilizzando sofisticati armamenti inventati dall’intelligenza umana, e magari forniti segretamente da chi, d’altra parte, denuncia gli stessi scontri bellici e perfino negozia pubblicamente per stroncarli. E guerre velate, fatte mediante la creazione e il mantenimento di strutture economiche, sociali e politiche che, silenziosamente e senza troppo rumore, falciano la vita di migliaia e migliaia di persone indifese. Alle volte si fa più guerra con una presa di posizione economica (un contratto salariale, un aumento delle tasse…), che priva del necessario i più deboli della società, che con i più raffinati missili.
Ma poi ci sono altre guerre, quelle piccole. Quelle che si fanno all’interno di una famiglia nella quale i rapporti si sono rarefatti o perfino stroncati, quelle che si generano nella stessa Chiesa tra i diversi movimenti o gruppi che si dichiarano seguaci di Gesù… Non spargono materialmente il sangue, ma lo versano in tanti altri modi. Sono fonti di morte per solitudine, per emarginazione, per esclusione.
Ma per fortuna c’è anche oggi nel mondo un’accresciuta sensibilità verso la pace. Si è perfino istituito il premio Nobel per la pace, attribuito a uomini e donne che si sono battuti per crearla o per ristabilirla. I movimenti pacifisti si moltiplicano un po’ dappertutto. Hanno contribuito a creare una nuova sensibilità secondo la quale non esistono «guerre giuste», come si pensava un tempo, anche in ambito ecclesiale. Essi si meritano, siano o no cristiani, la beatitudine proclamata da Gesù. Magari senza saperlo, stanno portando avanti, almeno per quell’aspetto così importante della pace, il grande progetto di Gesù.
C’è davvero da domandarsi se ci si può dire discepoli di colui che per la pace piena e gioiosa tra gli uomini diede anche la sua vita, se si nutrono sentimenti di guerra, se si assumono atteggiamenti aggressivi, se si fanno discorsi bellicosi, se si agisce con violenza verso gli altri, specialmente verso i più deboli.
Un cristiano dovrebbe essere per natura un non-violento. E anche se in passato c’è stato chi, perfino nel nome di Gesù Cristo e portando il suo stendardo, fece la guerra, è il momento di dire «mai più!».

In conclusione ascoltiamo le parole di Papa Francesco a proposito di questa beatitudine:
«Sono chiamati figli di Dio coloro che hanno appreso l’arte della pace e la esercitano, sanno che non c’è riconciliazione senza dono della propria vita, e che la pace va cercata sempre e comunque. Sempre e comunque: non dimenticare questo! Va cercata così.
Questa non è un’opera autonoma frutto delle proprie capacità, è manifestazione della grazia ricevuta da Cristo, che è nostra pace, che ci ha resi figli di Dio.
La vera «Shalòm» e il vero equilibrio interiore sgorgano dalla pace di Cristo, che viene dalla sua Croce e genera un’umanità nuova, incarnata in una infinita schiera di Santi e Sante, inventivi, creativi, che hanno escogitato vie sempre nuove per amare. I Santi e le Sante che costruiscono la pace.
Questa vita da figli di Dio, che per il sangue di Cristo cercano e ritrovano i propri fratelli, è la vera felicità. Beati coloro che vanno per questa via».
