Il Discorso della Montagna VI

UN AMORE CONCRETO E OPEROSO

Misericordiosi per ottenere misericordia

Non giudicate, per non essere giudicati;

perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati.

Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?

O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave?

Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

Matteo 7, 1-6

Siamo ormai giunti verso la fine del Discorso della Montagna.

Il brano che meditiamo oggi è ricchissimo di insegnamenti. Non siamo creati per condannare, ma per amare. Non siamo giudici, ma fratelli.

Chi ha condannato i fratelli, sarà condannato da Dio.

In questi versetti vi è la denuncia della malignità, che aguzza l’occhio a vedere i minimi difetti dei fratelli, e della fiducia orgogliosa nella propria giustizia, che non lascia vedere le nostre enormi imperfezioni. Troviamo l’ipocrisia di chi vuol far credere di combattere il male, ma lo combatte solo negli altri e non in se stesso.

Inoltre vediamo tre aspetti della vita cristiana:

. la prudenza, in altre parole il necessario discernimento nel dispensare “le cose sante”, vale a dire la Parola di Dio che esige di essere accolta da un cuore disponibile;

. la carità verso il prossimo, intesa come un amore che dona senza alcun limite, senza pensare a nessun contraccambio;

. il decidersi per il Vangelo, vale a dire per Cristo sofferente e perseguitato, guardandosi dalla falsa sicurezza e tenendo presente la terribile serietà dell’esistenza umana, la quale termina in un perdersi o in un vivere.

Spiritualmente parlando, il difetto di vista più frequente non è la miopia, ma la presbiopia.

Miopia significa vedere bene da vicino e male da lontano; presbiopia, al contrario, è vederci bene da lontano, ma male da vicino.

Colui che vede la pagliuzza nell’occhio del fratello e non vede la trave nel suo, è uno che vede lontano, ma non vede vicino. E’ un presbite. Il presbite, a volte, non riesce a leggere uno scritto anche se ha i caratteri grandi come travi e ce l’ha ad un palmo dagli occhi.

Che cosa indica la famosa pagliuzza e la famosa trave?

La pagliuzza è il peccato giudicato nel fratello, qualunque esso sia, in confronto al fatto stesso di giudicare che è la trave. Gesù denuncia qui una tendenza innata dell’uomo che i moralisti antichi hanno illustrato con la favola delle due bisacce.

Nella rielaborazione che ne fa La Fontaine, famoso scrittore di favole, dice: “Quando vieni in questa valle porta ognuno sulle spalle una duplice bisaccia. Dentro a quella che sta innanzi volentieri ognun di noi i difetti altrui vi caccia, e nell’altra mette i suoi”.

Siamo strani noi umani, possediamo occhi di lince nello scorgere i difetti del prossimo e siamo talpe cieche quando si tratta dei nostri. Dovremmo semplicemente rovesciare le cose: mettere i nostri difetti sulla bisaccia che abbiamo davanti e i difetti degli altri su quella dietro. Dopo tutto, i nostri difetti sono i soli che dipendono da noi modificare e correggere.

Ciò che avviene per pregi e difetti avviene anche per diritti e doveri. Noi poniamo il più delle volte i nostri diritti nella bisaccia davanti e i nostri doveri in quella dietro.

Viviamo, soprattutto oggi, in una società dove tutti sbandierano diritti, e nessuno sembra avere doveri.

Nel momento in cui si vuole procurare il favore di qualche settore della società, non si fa che mettergli davanti agli occhi i propri diritti, tacendogli i rispettivi doveri. Tanti conflitti sociali dipendono da qui.

Si impone, anche a questo riguardo, un bel capovolgimento di bisacce: davanti i doveri, dietro i diritti, oppure, ciò che è lo stesso: davanti i diritti degli altri, dietro i diritti nostri. Tanto, anche se sono dietro, non c’è pericolo che li trascuriamo…

In conclusione, la similitudine trave-pagliuzza, è un’immagine grottesca e paradossale, tuttavia rende evidente l’assurdità di colui che si innalza a giudice del fratello.

Chi giudica si autogiustifica (rammentate la parabola del Fariseo e del Pubblicano al Tempio?), s’illude nella propria ipocrisia, che gli maschera la profonda differenza tra la convinzione interiore e il comportamento esterno.

Soltanto una lucida autocritica è la condizione per aiutare, con senso di partecipazione e di misericordia, il fratello a correggersi.

Poveri: fiducia in Dio che apre il cuore alla preghiera

Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto;

perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.

Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra?

O se gli chiede un pesce, darà una serpe?

Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!

Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.

Matteo 7, 7-12

Pregare vuol riconoscere che Dio è l’alfa e l’omega della nostra vita, tutto viene da Lui e tutto si compie attraverso di Lui.

Chi ha questa fede scopre la gioia di consegnare tutto nelle mani del Padre, anche e soprattutto i desideri, le ansie, le preoccupazioni.

Lo facciamo senza pretese e senza vantare diritti. A noi basta sapere che Dio ci ascolta e tutto orienta verso il bene.

Il Padre nostro sa di che cosa abbiamo bisogno. Non è importante quello che chiediamo, ma è importante Colui al quale chiediamo.

E la preghiera ha come scopo l’incontro con Dio, l’intima unione con Lui, è un mettersi sull’onda della sua paternità.

Gesù assicura che il Padre celeste risponderà, ma non dice che ci darà esattamente quello che abbiamo chiesto.

Quando accade – e spesso accade! – di non ottenere quello che abbiamo chiesto, non vuol dire che Dio non ascolti o non si prenda cura di noi, vuol dire semplicemente che vuole darci altro e in altri tempi.

Pretendere di conoscere la volontà di Dio significa metterci al posto di Dio.

La preghiera di richiesta non sarebbe autentica, se avesse qualche pretesa, anche minima.

La fiducia è l’anima della preghiera. Se non riceviamo quanto abbiamo chiesto, invece di dare spazio all’amarezza e di chiuderci nello sconforto, rinnoviamo con gioia la nostra fede e chiediamogli la grazia di accogliere con amore la sua volontà, anche se facciamo fatica a comprendere.

Non possiamo misurare la bontà di Dio con le nostre attese! Anche se le nostre intenzioni sono sempre buone, non sempre chiediamo cose buone.

Chi ha più anni sulle spalle, sa per esperienza che tante volte, sospinti dalla fretta di fare qualcosa, abbiamo compiuto scelte sbagliate.

Il silenzio di Dio è un implicito invito a cercare ancora, a guardare più lontano. Dobbiamo dunque continuare a chiedere, senza mai stancarci.

E il Padre Celeste, che ci conosce nel profondo del nostro intimo e ci ha creati, ci ascolterà e saprà darci ciò di cui abbiamo più bisogno.

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