
UN AMORE CONCRETO E OPEROSO
Il giudizio sarà sui fatti, non sulle parole
Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa;
quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!
Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci.
Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?
Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;
un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.
Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.
Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?
Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Matteo 7, 13-23
Oggi raggiungiamo la parte finale del Discorso della Montagna.
Gesù ci indica che per salvarci, dobbiamo percorrere la via più difficile e scomoda e la porta stretta, per la quale entreranno tutti quelli che riescono a capire fino in fondo la lieta novella dell’amore di Gesù.
Se tutti gli esseri umani accettassero di amare gli altri come amano se stessi, il mondo sarebbe profondamente diverso, migliore.
Invece diverso non è, perché l’egoismo è imperante, perché anche noi che ci professiamo cristiani non abbiamo il coraggio, al momento buono, di essere coerenti, di volere per gli altri il bene che vogliamo per noi, di evitare di fare agli altri il male che non sopporteremmo se fosse fatto a noi.
Cristo è la porta (cfr. Gv 10, 9) che ci introduce a Dio Padre e, in comunione con Lui, godremo della sua misericordia, della sua protezione e del suo amore.
La porta è stretta perché ci vengono richiesti dei sacrifici, dobbiamo reprimere il nostro orgoglio, toglierci da addosso il peso delle nostre mancanze ed eliminare ogni timore di aprire il cuore con umiltà.
È stretta, ma è sempre spalancata.
“Vorrei farvi una proposta – diceva Papa Francesco – Pensiamo adesso, in silenzio, per un attimo alle cose che abbiamo dentro di noi e che ci impediscono di attraversare la porta: il mio orgoglio, la mia superbia, i miei peccati. E poi, pensiamo all’altra porta, quella spalancata dalla misericordia di Dio che dall’altra parte ci aspetta per darci il suo perdono”.
Nel discorso Gesù poi afferma, che per tutti i discepoli di Cristo c’è un insidia, i falsi profeti.
L’analogia con quelli dell’Antico Testamento ci permette di descriverli. Essi somigliano ai veri profeti, pretendono si essere tali, ma in realtà non lo sono, perché assecondano i vizi degli esseri umani invece di flagellarli, li cullano in una fatale sicurezza e tolgono il rimorso distruggendo il senso del peccato.
Un test infallibile per riconoscerli è giudicarli dai frutti, che li manifestano per quelli che sono.
La prospettiva del giudizio di Cristo lega insieme tutti i versetti nella parte finale del Discorso.
Davanti al Giudice divino le parole non basteranno per evitare l’esclusione dal Regno.
Neppure i carismi più spettacolari serviranno a sfuggire alla terribile sentenza: “Chi siete voi? Non vi ho mai conosciuto, allontanatevi da me!”, nemmeno sarà sufficiente aver ascoltato, ma sarà indispensabile l’obbedienza fedele al Padre e il mettere in pratica le parole che si sono udite.
Non si salvano le persone che parlano continuamente di Dio, ma che non fanno la volontà di Dio, che usano il nome di Gesù, ma non traducono in vita il loro rapporto con il Signore.
Non basta parlare, bisogna praticare!
L’importante non è parlare in modo bello di Dio o saper spiegare bene la Bibbia agli altri, bensì fare la volontà del Padre e, così, essere una rivelazione del suo volto e della sua presenza nel mondo.
La stessa raccomandazione la fece Gesù a quella donna che elogiò Maria, sua madre. Gesù rispose: “Beati coloro che ascoltano la Parola e la mettono in pratica” (Lc 11, 28).
Ci sono persone che vivono nell’illusione di lavorare per il Signore, ma nel giorno dell’incontro definitivo con Lui, scopriranno, tragicamente, che non l’hanno mai conosciuto.
I doni devono stare al servizio del Regno, della comunità.
C’erano persone con doni straordinari, come per esempio il dono della profezia, dell’esorcismo, delle guarigioni, ma usavano questi doni per loro, fuori dal contesto della comunità.
Nel giudizio, loro udiranno una sentenza dura da parte di Gesù: “Allontanatevi da me voi che praticate l’iniquità! ”
L’iniquità è l’opposto alla giustizia.
È fare con Gesù ciò che i dottori facevano con la legge: insegnare e non praticare (cfr. Mt 23, 3).
San Paolo dirà la stessa cosa con altre parole ed argomenti: “E se avessi il dono della profezia e conoscessi i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla. E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi gioverebbe.” (1Cor 13,2-3).

Un insegnamento non solo da ascoltare, ma da vivere
Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.
Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.
Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.
Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande”.
Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento:
egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.
Matteo 7, 24-29
Per mezzo della parabola finale della casa costruita sulla roccia e della casa costruita sulla spiaggia, San Matteo denuncia e, nello stesso tempo, cerca di correggere la separazione tra fede e vita, tra parlare e fare, tra insegnare e praticare.
Aprirsi e praticare, ecco la conclusione finale del Discorso della Montagna.
Molta gente cerca la sua sicurezza nei doni straordinari o nelle osservanze. Ma la vera sicurezza non viene dal prestigio o dalle osservanze.
Viene da Dio! Viene dall’amore di Dio che ci amò per primo (cfr. 1Gv 4, 19). Il suo amore per noi, manifestato in Gesù supera tutto (cfr. Rom 8, 38-39).
Dio diventa fonte di sicurezza, quando cerchiamo di praticare la sua volontà. Lì Lui sarà la roccia che ci sostiene nei momenti di difficoltà e di tempesta. Come è attuale questa promessa ai giorni nostri!
Nel libro dei Salmi, spesso troviamo l’espressione: “Dio è la mia roccia e la mia fortezza… Mio Dio, roccia mia, mio rifugio, mio scudo, la forza che mi salva…” (Sal 18, 3).
Lui è la difesa e la forza di colui che cerca la giustizia (cfr. Sal 18, 21.24).
Le persone che hanno fiducia in questo Dio, diventano a loro volta, una roccia per gli altri.
Così, il profeta Isaia invita la gente in esilio dicendo: “Voi che siete in cerca di giustizia e che cercate il Signore! Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo, vostro padre, e a Sara vostra madre.” (Is 51, 1-2).
Il profeta chiede alla gente di non dimenticare il passato. La gente deve ricordare che Abramo e Sara, per la loro fede in Dio, diventarono roccia, inizio del popolo di Dio. Guardando verso questa roccia, la gente doveva acquistare coraggio per lottare ed uscire dalla schiavitù.
E anche così San Matteo, nella parola letta oggi, esorta le comunità ad avere come base la stessa roccia per poter essere, così loro stessi, roccia per rafforzare i loro fratelli e sorelle nella fede.
È questo il senso del nome che Gesù dà a Pietro: “Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa” (Mt 16, 18). Questa è la vocazione delle prime comunità, chiamate ad unirsi a Dio, pietra viva, per diventare loro stesse pietre vive, perché ascoltino e mettano in pratica la Parola (cfr. 1 Pt 2, 4-10; Ef 2, 19-22).
La comunità, costruita sul fondamento della nuova Legge del Discorso della Montagna, rimarrà in piedi nel momento della tormenta.
L’evangelista chiude il Discorso della Montagna dicendo che la moltitudine rimase ammirata dell’insegnamento di Gesù, “come uno che ha autorità, e non come gli scribi”.
Il risultato dell’insegnamento di Gesù è una coscienza più critica della gente rispetto alle autorità religiose dell’epoca.
Le sue parole semplici e chiare scaturiscono dalla sua esperienza di Dio, dalla sua vita donata al Progetto del Padre. La gente rimane ammirata ed approva l’insegnamento di Gesù.
