La via delle Beatitudini – VIII

Oggi continuiamo a meditare la luminosa via della felicità che il Signore ci ha consegnato nelle Beatitudini, giungendo alla quinta tappa:

«Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Matteo 5, 7)

In questa beatitudine c’è una particolarità: è l’unica in cui la causa e il frutto della felicità coincidono, la misericordia.

C’è un brano nei vangeli che illustra meravigliosamente il significato di questa beatitudine: è la parabola del Buon Samaritano. Eccola, nella sua stupenda ricchezza e incisività:

«Un uomo scendeva da Gerusalemme verso Gerico, quando incontrò i briganti. Gli portarono via tutto, lo presero a bastonate e poi se ne andarono lasciandolo mezzo morto. Per caso passò un sacerdote; vide l’uomo ferito, passò dall’altra parte della strada e proseguì. Anche un levita del tempio passò per quella strada; anche lui lo vide, lo scansò e proseguì. Invece un uomo della Samaria, che era in viaggio, gli passò accanto, lo vide e ne ebbe compassione. Gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò. Poi lo caricò sul suo asino e lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo. Il giorno dopo tirò fuori due monete d’argento, le diede al padrone dell’albergo e gli disse: “Abbi cura di lui e anche se spenderai di più pagherò io quando ritorno”. A questo punto Gesù domandò: “Secondo te, chi di questi tre si è comportato come prossimo per quell’uomo che aveva incontrato i briganti?”. Il maestro della legge rispose: “Quello che usò di misericordia verso di lui”. Gesù allora gli disse: “Va’ e comportati allo stesso modo”» (Lc 10, 30-37).

Nel racconto si dice che tutti e tre i passanti, tanto il sacerdote quanto il levita e il Samaritano, videro l’uomo mezzo morto ai margini della strada, ma mentre i due primi lo scansarono e proseguirono per il loro cammino, il terzo «ne ebbe compassione».

Il termine usato dall’evangelista Luca in questo punto è molto espressivo. Il Samaritano, visto l’uomo mezzo morto, si commosse fino alle viscere. Gli altri due invece, pur vedendolo, non ebbero la stessa reazione, o almeno la repressero, poiché essa non arrivò a produrre gli stessi effetti che invece produsse nel Samaritano.

Questi effetti sono espressione di una sollecitudine davvero estrema:

«… gli andò vicino, versò olio e vino sulle sue ferite e gliele fasciò, poi lo caricò sul suo asino e lo portò a una locanda e fece tutto il possibile per aiutarlo»; non solo, ma ancora, «il giorno dopo tirò fuori due monete d’argento e le diede al padrone», affinché se ne prendesse cura fino al suo ritorno, disposto a rimborsare anche di tasca sua quanto venisse da lui speso a questo fine. Difficilmente si poteva dipingere a tinte più vive l’interessamento di un uomo per un altro. E, per di più, per un altro sconosciuto e … nemico!

È noto l’odio che separava samaritani e giudei (cfr. Gv 4, 9): questi ultimi consideravano quelli pagani. Per un giudeo era impossibile pensare a un buon samaritano.

Tutto questo darsi da fare del Samaritano ha una chiara sorgente: la sua reazione «viscerale» davanti alla «miserevole» condizione dell’uomo incontrato ai margini della strada.

Egli si sentì toccato nel vivo delle sue viscere da ciò che «vide». Non rimase insensibile ma, viceversa, si sentì intensamente e personalmente interpellato. E, lasciandosi trasportare dalla sua commozione, si mise ad agire per venire incontro alla sua situazione. «Si fece prossimo di quell’uomo che aveva incontrato i briganti», come dice Gesù.

In una parola, «gli usò di misericordia».

Le due componenti, intensa emotività da una parte e impegnata operatività dall’altra, caratterizzano il suo comportamento. Egli è un uomo «buono» (la narrazione è passata alla storia come la parabola del «Buon» Samaritano!). Egli è l’immagine viva della misericordia, nel senso etimologico della parola (miseri-cor-dia: avere cuore per il misero).

Uomini come questo sono di sicuro quelli che si meritano la beatitudine di Gesù: «Beati voi, misericordiosi, perché troverete misericordia».

Sulla sua bocca questa beatitudine suona a complimento e ad augurio. Complimento, perché chi la merita viene riconosciuto come uno che partecipa nello stesso grande progetto di Gesù, il regno di Dio; augurio, perché gli si promette un futuro pieno di gioia. Per lui è un vero vangelo, una vera buona notizia.

A proposito, ci insegna Papa Francesco:

“Da dove nasce la nostra misericordia? Gesù ci ha detto: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6, 36). Quanto più si accoglie l’amore del Padre, tanto più si ama (cfr CCC, 2842). La misericordia non è una dimensione fra le altre, ma è il centro della vita cristiana: non c’è cristianesimo senza misericordia. Se tutto il nostro cristianesimo non ci porta alla misericordia, abbiamo sbagliato strada, perché la misericordia è l’unica vera meta di ogni cammino spirituale. Essa è uno dei frutti più belli della carità (cfr CCC, 1829).

La misericordia di Dio è la nostra liberazione e la nostra felicità. Noi viviamo di misericordia e non ci possiamo permettere di stare senza misericordia: è l’aria da respirare. Siamo troppo poveri per porre le condizioni, abbiamo bisogno di perdonare, perché abbiamo bisogno di essere perdonati”.

Il Buon Samaritano – Vincent Van Gogh

Ma, in realtà, il primo a meritarsi questa beatitudine è lo stesso Gesù.

Infatti, ci sono nei vangeli diversi testi in cui il suo atteggiamento viene descritto con lo stesso termine con cui Luca caratterizzò la reazione del Samaritano misericordioso della parabola. Uno di essi, forse il più emblematico, è quello di Mc 1, 40-41, in cui Egli si ritrova davanti un lebbroso che gli chiede con grande fiducia e speranza di aiutarlo: «Se vuoi, tu puoi guarirmi!». Marco dice che Gesù, alla presenza di questo morto-in-vita, «si sentì toccato nelle viscere». E, continua raccontando, mosso da quella viva compassione, «lo toccò con la mano e gli disse: “Sì, lo voglio: guarisci!” Subito la lebbra sparì e quell’uomo si trovò guarito». La sua reazione è così forte che lo porta perfino a superare la esigente legge della purità legale, che proibiva di toccare un lebbroso sotto pena di contrarre l’impurità legale.

Potremmo dire che Gesù non solo agì sempre misericordiosamente, ma pure che «morì di misericordia». Egli portò il suo atteggiamento di attenzione e di tenerezza particolare verso i più piccoli e deboli, i più «moribondi», fino alle ultime conseguenze. La croce è la suprema espressione di questo suo modo di reagire.

E, dietro a Gesù, ci sono stati nella storia sempre uomini e donne che si sono meritati la beatitudine della misericordia. Tanti santi e sante hanno brillato nella Chiesa per il loro eroico impegno nelle «opere di misericordia». Quelle cosiddette spirituali, e quelle corporali.

Ce ne sono anche oggi. Quanti e quante, magari nel nascondimento e senza fare chiasso, si danno da fare generosamente per accudire i malati, sfamare gli affamati, consolare i tristi, visitare i carcerati, accogliere i senza tetto … Ricordiamo un esempio luminoso: Santa Madre Teresa di Calcutta e tutti quelli che la seguono nell’accudire gli ultimi della società, i «barboni», gli ammalati senza assistenza, gli extracomunitari, …

Una cosa possiamo aggiungere: ci vogliono ancora oggi, indubbiamente, delle «Madre Teresa» che spendano la loro vita e brucino con generosità le loro energie nella misericordia assistenziale, ma ci vogliono anche degli uomini e delle donne che siano capaci di esercitare una autentica misericordia socio-politica, mirata a organizzare e far funzionare la convivenza collettiva «a partire dagli ultimi», con l’attenzione posta in maniera privilegiata sui più deboli in ogni senso e ad ogni livello, senza dimenticare quello in cui si giocano le sorti planetarie dell’umanità.

Uomini e donne, in definitiva, che gestiscano veramente il potere decisionale all’insegna della beatitudine proclamata da Gesù: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».

Il Santo Padre afferma ancora a riguardo della beatitudine odierna:

“La misericordia è il cuore stesso di Dio! Gesù dice: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati» (Lc 6, 37). Sempre la stessa reciprocità. E la Lettera di Giacomo afferma che «la misericordia ha sempre la meglio sul giudizio» (2, 13).

Ma è soprattutto nel Padre Nostro che noi preghiamo: «Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6, 12); e questa domanda è l’unica ripresa alla fine: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6, 14-15; cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2838).

Ci sono due cose che non si possono separare: il perdono dato e il perdono ricevuto. Ma tante persone sono in difficoltà, non riescono a perdonare. Tante volte il male ricevuto è così grande che riuscire a perdonare sembra come scalare una montagna altissima: uno sforzo enorme; e uno pensa: non si può, questo non si può. Questo fatto della reciprocità della misericordia indica che abbiamo bisogno di rovesciare la prospettiva. Da soli non possiamo, ci vuole la grazia di Dio, dobbiamo chiederla. Infatti, se la quinta beatitudine promette di trovare misericordia e nel Padre Nostro chiediamo la remissione dei debiti, vuol dire che noi siamo essenzialmente dei debitori e abbiamo necessità di trovare misericordia!

Tutti siamo debitori. Tutti. Verso Dio, che è tanto generoso, e verso i fratelli. Ogni persona sa di non essere il padre o la madre che dovrebbe essere, lo sposo o la sposa, il fratello o la sorella che dovrebbe essere. Tutti siamo “in deficit”, nella vita. E abbiamo bisogno di misericordia. Sappiamo che anche noi abbiamo fatto il male, manca sempre qualcosa al bene che avremmo dovuto fare.

Ma proprio questa nostra povertà diventa la forza per perdonare! Siamo debitori e se, come abbiamo ascoltato all’inizio, saremo misurati con la misura con cui misuriamo gli altri (cfr Lc 6, 38), allora ci conviene allargare la misura e rimettere i debiti, perdonare. Ognuno deve ricordare di avere bisogno di perdonare, di avere bisogno del perdono, di avere bisogno della pazienza; questo è il segreto della misericordia: perdonando si è perdonati. Perciò Dio ci precede e ci perdona Lui per primo (cfr Rm 5, 8). Ricevendo il suo perdono, diventiamo capaci a nostra volta di perdonare. Così la propria miseria e la propria carenza di giustizia diventano occasione per aprirsi al regno dei cieli, a una misura più grande, la misura di Dio, che è misericordia”.