
Oggi meditiamo la sesta beatitudine:
«Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Matteo 5, 8)
«Dio non l’ha mai visto nessuno» (Gv 1, 18; 1 Gv 4, 12).
Questa affermazione della Bibbia vuole sottolineare una verità grande: Dio è mistero e, perciò, inafferrabile, ineffabile. Egli è sempre al di là… Ci sovrasta in tale modo che mai nessuno può dire: «Ecco, l’ho preso, è nelle mie mani».
I nostri occhi sono troppo piccoli per riuscire a vedere la sua luce, le nostri mani sono troppo deboli per afferrarlo.
Eppure, come dice un bellissimo salmo, «di Te ha sete l’anima mia, a Te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua» (Sal 63, 2).
L’uomo ha sete di una relazione personale con Dio.
Nel libro di Giobbe leggiamo: «Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Gb 42, 5). Inizialmente conosciamo Dio per sentito dire, ma con la nostra esperienza andiamo avanti e alla fine lo conosciamo direttamente, se siamo fedeli … È questo il cammino della vita nel nostro rapporto con Dio, un rapporto sincero.
Ci insegna Papa Francesco a riguardo:
“Come arrivare a questa intimità, a conoscere Dio con gli occhi? Si può pensare ai discepoli di Emmaus, per esempio, che hanno il Signore Gesù accanto a sé, «ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (Lc 24, 16). Il Signore schiuderà il loro sguardo al termine di un cammino che culmina con la frazione del pane ed era iniziato con un rimprovero: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!» (Lc 24, 25). Quello è il rimprovero dell’inizio. Ecco l’origine della loro cecità: il loro cuore stolto e lento. E quando il cuore è stolto e lento, non si vedono le cose. Si vedono le cose come annuvolate”.

Anche se non lo pensa, ogni uomo è assetato di Dio. Desidera ardentemente, dal più profondo del suo essere, «vedere il suo volto». Un altro salmo recita: «Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cercate il mio volto!”. Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto» (Sal 27, 8-9).
Sant’Agostino recitava nella preghiera: «Ci hai fatto per Te, Signore, e il nostro cuore è irrequieto fino a che non si riposa in Te!». E proprio la visione del volto di Dio che può rendere intensamente felice il cuore umano. L’umanità è andata sempre cercandolo, molte volte «a tentoni», secondo l’espressiva frase di San Paolo nel suo discorso all’areopago di Atene (At 17, 27).
Gesù lo sapeva bene. Ma Egli, come dice Giovanni, era «l’Unigenito che è nel seno del Padre», e come tale, perché conosceva il Padre, ci ha rivelato il suo volto (Gv 1, 18). E ci ha detto che fin d’ora noi possiamo anticipare la felicità, piena e definitiva, che avremo un giorno: noi possiamo già ora vedere Dio! A una sola condizione, quella di avere un cuore puro.
Nella nostra cultura, il cuore è – simbolicamente – la sede dei sentimenti. Nella cultura biblica esso è invece, se così possiamo esprimerci, il luogo della propria e irripetibile identità, lo spazio interiore dove una persona è sé stessa. Esso designa la profondità più intima di ogni essere umano, il «posto» dove si giocano le sue decisioni più personali. Perciò la Bibbia parla così spesso del cuore, perché racconta la storia dei rapporti delle persone tra di loro e con Dio.
Dai vangeli si coglie che Gesù sapeva, per esperienza, che ci sono dei cuori pieni di impurità. Li incontrò più di una volta durante la sua attività per il regno di Dio. Da essi, come Egli dichiarò nel vangelo di Marco, quando i suoi avversari accusavano i suoi discepoli di sedersi alla mensa senza essersi lavate le mani, «escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l’uomo» (Mc 7, 21-23).
Sono questi i cuori che fecero resistenza e perfino opposizione al grande progetto di fraternità per la vita che Gesù andava proponendo con passione. Proprio perché erano impuri erano «di pietra», come già denunciava nell’antichità il profeta Ezechiele (Ez 36, 26). Essi provocarono l’indignazione e allo stesso tempo la tristezza di Gesù (cfr. Mc 3, 1-6). Cuori come questi non possono vedere Dio, perché sono abitati dalle tenebre, mentre «Dio è Luce» (1 Gv 1, 5).
Il nostro caro Pontefice ci spiega ancora:
“Qui sta la saggezza di questa beatitudine: per poter contemplare Dio è necessario entrare dentro di noi e far spazio a Dio, perché, come dice Sant’Agostino, “Dio è più intimo a me di me stesso” (“interior intimo meo”: Confessioni, III,6,11). Per vedere Dio non serve cambiare occhiali o punto di osservazione, o cambiare autori teologici che insegnino il cammino: bisogna liberare il cuore dai suoi inganni! Questa strada è l’unica.
Questa è una maturazione decisiva: quando ci rendiamo conto che il nostro peggior nemico, spesso, è nascosto nel nostro cuore. La battaglia più nobile è quella contro gli inganni interiori che generano i nostri peccati. Perché i peccati cambiano la visione interiore, cambiano la valutazione delle cose, fanno vedere cose che non sono vere, o almeno che non sono così vere”.
Lo stesso Ezechiele aveva fatto una grande profezia per i tempi futuri:
«Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati;
io vi purificherò da tutte le vostre sozzure
e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo,
metterò dentro di voi uno spirito nuovo;
toglierò da voi il cuore di pietra
e vi darò un cuore di carne» (Ez 36, 25-26).
È l’adempimento di questa profezia l’oggetto della sesta beatitudine proclamata da Gesù nel suo discorso della montagna. Quegli uomini e donne che, come Lui, si lasciano «trapiantare» da Dio un cuore nuovo, liberato da tutti gli egoismi che lo rendono impuro, sono beati.
È lo Spirito Santo che è capace di trasformare il nostro cuore duro, insensibile, di pietra, in un cuore nuovo, che pulsa, vive e ama.
«L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5) e ci trasforma in uomini rinnovati con un cuore di carne.
È la felicità dell’amore, di quello vero e fecondo che fa nascere la vita attorno a sé sia pure pagando di persona. E dove si tocca l’amore, si vede Dio! (1 Gv 4, 12).

Concludiamo questa riflessione facendoci aiutare ancora dalle parole del Santo Padre:
“In questa visione beatifica c’è una dimensione futura, escatologica, come in tutte le Beatitudini: è la gioia del Regno dei Cieli verso cui andiamo. Ma c’è anche l’altra dimensione: vedere Dio vuol dire intendere i disegni della Provvidenza in quel che ci accade, riconoscere la sua presenza nei Sacramenti, la sua presenza nei fratelli, soprattutto poveri e sofferenti, e riconoscerlo dove Lui si manifesta (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 2519).
Questa beatitudine è un po’ il frutto delle precedenti: se abbiamo ascoltato la sete del bene che abita in noi e siamo consapevoli di vivere di misericordia, inizia un cammino di liberazione che dura tutta la vita e conduce fino al Cielo.
È un lavoro serio, un lavoro che fa lo Spirito Santo se noi gli diamo spazio perché lo faccia, se siamo aperti all’azione dello Spirito Santo.
Per questo possiamo dire che è un’opera di Dio in noi – nelle prove e nelle purificazioni della vita – e questa opera di Dio e dello Spirito Santo porta a una gioia grande, a una pace vera. Non abbiamo paura, apriamo le porte del nostro cuore allo Spirito Santo perché ci purifichi e ci porti avanti in questo cammino verso la gioia piena”.
