Ho voluto creare questo blog per dirvi che Gesù è il Signore. Chi ha incontrato Gesù, non può tenerselo per sé, bensì è chiamato naturalmente ad annunciare la Buona Novella a tutte le altre persone, in particolare a chi ancora non lo conosce. Gesù è venuto per dirci che Dio ci ama e per salvare … Continua a leggere BENVENUTI!
Ci sono persone che trascorrono tutta la vita a cercare la “gioia piena” senza mai afferrarla davvero, perdendosi tra delusioni e traguardi evanescenti. E poi ci sono persone che a un certo punto decidono di mettersi in gioco per trovare il tassello mancante e raggiungere la felicità. Come Chiara, schiacciata da una vita mediocre, monotona … Continua a leggere Un incredibile giro del mondo
Che cosa devo intraprendere per vivere da persona umana? Quali valori devo realizzare? La luce della coscienza morale, cioè la capacità di distinguere il bene e il male e di agire di conseguenza, è la prima guida sulla via della giustizia e dell’amore. Ma la coscienza è sottoposta alla pressione degli istinti e di una … Continua a leggere La via delle Beatitudini
È fondamentale poter avere il parere di persone sagge, che ci tengono a noi e ci vogliono bene, in particolare nelle situazioni più difficili e complesse.
Per mezzo del dono del Consiglio, è Dio stesso, che sotto l’ispirazione dello Spirito Santo illumina il nostro cuore, così da farci comprendere il modo giusto di parlare e di comportarsi e la via da seguire.
Questo dono ci porta a giudicare rettamente ciò che bisogna fare secondo la volontà di Dio, specialmente nei casi difficili.
Per meglio comprenderlo, dobbiamo sapere che esso porta a perfezione la virtù della prudenza.
La prudenza è la virtù umana che, illuminata dalla fede, ci aiuta a comprendere attraverso la riflessione e la meditazione qual è la volontà di Dio da seguire nelle varie circostanze della vita.
La prudenza influisce sulle altre virtù cardinali, ha una supremazia e un compito di discernimento su di esse. Guida infatti la volontà a volere la giustizia e regola le passioni mediante la temperanza e la fortezza.
Così anche il dono del Consiglio ha un ruolo direttivo sui doni della Fortezza, della Pietà e del Timor di Dio, li regola.
Le due facoltà proprie dell’uomo sono l’intelligenza e la volontà ed è qui che agiscono, perfezionandole, le tre virtù teologali, che regolano i nostri rapporti diretti con Dio: la fede opera specialmente sull’intelligenza, mentre la speranza e la carità perfezionano la volontà.
Anche i doni dello Spirito Santo agiscono sull’intelligenza e sulla volontà.
La Sapienza, l’Intelletto e la Scienza operano in particolare sull’intelligenza, mentre gli altri quattro doni, insieme alle relative virtù morali o cardinali, intervengono a regolare la volontà.
Ritornando alla virtù della prudenza, questa comporta dunque un atteggiamento di riflessione, di analisi, di preghiera, magari di ascolto di diverse persone prima di arrivare ad una decisione fondata, tale da dare pace al cuore. Insomma richiede un lungo processo.
Il dono del Consiglio è invece una illuminazione da parte dello Spirito Santo, per cui una persona, come per istinto, sceglie ciò che è la volontà di Dio da compiere, anche se ha poco tempo per riflettere.
Su questo tema, Papa Francesco ci insegna che il Consiglio “è il dono con cui lo Spirito Santo rende capace la nostra coscienza di fare una scelta concreta in comunione con Dio, secondo la logica di Gesù e del suo Vangelo.
In questo modo, lo Spirito ci fa crescere interiormente, ci fa crescere positivamente, ci fa crescere nella comunità e ci aiuta a non cadere in balia dell’egoismo e del proprio modo di vedere le cose.
Così lo Spirito ci aiuta a crescere e anche a vivere in comunità. La condizione essenziale per conservare questo dono è la preghiera”.
e in un altro passaggio sempre riguardo alla preghiera, il Santo Padre ci spiega ancora:
“È lo Spirito che ci consiglia, ma noi dobbiamo dare spazio allo Spirito, perché ci possa consigliare.
E dare spazio è pregare, pregare perché Lui venga e ci aiuti sempre”.
Questo dono dello Spirito Santo ci permette di attuare la volontà di Dio nelle circostanze reali, nella vita di tutti i giorni.
Inoltre ci aiuta a risolvere situazioni, che di per sé sembrerebbero insolubili alla luce della prudenza umana, anche se è illuminata dalla fede.
Uno degli effetti più importanti di questo dono consiste nel preservarci dal pericolo di una falsa coscienza.
Noi tutti siamo maestri nel camuffare sotto ragioni di bene ciò che in verità è una soddisfazione dei nostri capricci o delle nostre passioni.
Chi possiede questo dono, non si lascia ingannare, non confonde il bene con il male.
Lascia infatti che la luce di Dio, lo Spirito Santo, entri anche nelle profondità recondite del suo cuore a illuminare le zone più oscure della suaanima.
In questo modo è più difficile illudere se stessi portando delle ragioni di carattere spirituale a giustificazione delle proprie comodità e dei propri capricci.
In modo particolare coloro che hanno delle responsabilità nei confronti degli altri, specialmente in campo spirituale e in campo educativo, quindi non solo i maestri di spirito e i sacerdoti, ma anche i genitori e gli insegnanti, necessitano più che mai del dono del Consiglio.
Per ricevere questo dono, occorre riconoscersi umili, che non siamo nulla davanti alla Sapienza di Dio, di chiedere a Dio di illuminarci venendoci in soccorso della nostra ignoranza.
Siccome il dono del Consiglio altro non è che il suggerimento per il nostro agire che Dio stesso dà al nostro cuore, dobbiamo imparare a creare in noi il silenzio dai rumori del mondo per ascoltare la voce di Dio, che ama parlare al cuore quando è nella solitudine, quando la nostra mente e il nostro cuore sono liberi dai pensieri e dalle preoccupazioni.
Concludendo, questo dono è la bussola che ci indica costantemente il Cielo. Senza la luce del Consiglio, si è come ciechi.
“Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà,
secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito
per realizzarlo nella pienezza dei tempi:
il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra”.
Efesini 1, 9-10
Parliamo oggi del secondo dono dello Spirito Santo.
Il dono dell’Intelletto è quel lume della mente che ci aiuta ad addentrarci nella conoscenza delle cose soprannaturali.
Ci conduce alla verità di Dio e ad un equilibrato rapporto con Lui.
Se manca questo dono, subentrano errori che deviano il retto pensare e il giusto agire.
Papa Francesco ci spiega, parlando di questo dono:
“Non si tratta qui dell’intelligenza umana, della capacità intellettuale di cui possiamo essere più o meno dotati.
È invece una grazia che solo lo Spirito Santo può infondere e che suscita nel cristiano la capacità di andare al di là dell’aspetto esterno della realtà e scrutare le profondità del pensiero di Dio e del suo disegno di salvezza”.
Il vocabolo Intelletto etimologicamente deriva infatti dal latino: “intus legere”, che significa: “leggere dentro, guardare dentro”.
Con il dono dell’Intelletto non conosciamo la “parte esterna” delle cose divine, ma questo dono ci porta all’intima essenza di esse.
La nostra mente si incontra con la verità di Dio, favorendo una fede incrollabile.
È lo sguardo interiore o meglio vedere le cose con l’occhio di Dio.
Come ci insegna ancora il Santo Padre: “Questo dono ci fa capire le cose come le capisce Dio, con l’intelligenza di Dio.
È il dono con cui lo Spirito Santo ci introduce nell’intimità con Dio e ci rende partecipi del disegno d’amore che Lui ha con noi”.
Riprendendo un passo dell’Apostolo Paolo, che si rivolge alla comunità di Corinto, papa Francesco ci descrive gli effetti di questo dono in noi:
«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano.
Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito» (1 Cor 2, 9-10).
“Questo ovviamente non significa che un cristiano possa comprendere ogni cosa e avere una conoscenza piena dei disegni di Dio:
tutto ciò rimane in attesa di manifestarsi in tutta la sua limpidezza quando ci troveremo al cospetto di Dio e saremo davvero una cosa sola con Lui”.
Il dono dell’Intelletto perfeziona le virtù della fede e della speranza.
Attraverso questo dono, la fede e la sua sorella speranza giungono al loro pieno e perfetto sviluppo.
Una speranza gioiosa, insieme a una fede certa, sono frutto del dono dell’Intelletto, che facilita la comprensione della Parola di Dio, della teologia e di tutta la verità.
Papa Francesco a questo proposito afferma: “È chiaro allora che il dono dell’intelletto è strettamente connesso alla fede.
Quando lo Spirito Santo abita nel nostro cuore e illumina la nostra mente, ci fa crescere giorno dopo giorno nella comprensione di quello che il Signore ha detto e ha compiuto.
Lo stesso Gesù ha detto ai suoi discepoli: io vi invierò lo Spirito Santo e Lui vi farà capire tutto quello che io vi ho insegnato.
Capire gli insegnamenti di Gesù, capire la sua Parola, capire il Vangelo, capire la Parola di Dio.
Uno può leggere il Vangelo e capire qualcosa, ma se noi leggiamo il Vangelo con questo dono dello Spirito Santo possiamo capire la profondità delle parole di Dio”.
Grazie dunque al dono dell’Intelletto comprendiamo la Parola di Dio, cogliamo il senso profondo delle Sacre Scritture.
Allo stesso modo con questo dono possiamo capire fino in fondo il dono dell’Eucarestia.
Con un semplice sguardo possiamo infatti cogliere la presenza di Dio, al di là delle apparenze del pane e del vino.
Questo dono dello Spirito Santo ci permette inoltre di individuare la presenza di Dio in tanti avvenimenti, che sembrerebbero del tutto casuali.
Quante volte ci è capitato! Non non sono coincidenze, ma come le chiamo io sono “Cristoincidenze” o “Dioincindenze”.
Con questo dono si riesce a vedere Dio in ogni cosa e al di là di tutte le cose.
L’Intelletto mette al centro la Parola di Dio e alla sua luce vengono relativizzate le proprie idee e tutte le invenzioni umane.
Svaniscono le false immaginazioni e le illusioni dell’amor proprio, cadono le nostre false sicurezze e si rimane solidamente ancorati alla vera fede.
Il traguardo del dono dell’Intelletto è condurci alla contemplazione semplice e pura della bellezza e della dolcezza di Dio.
Già in questa vita vedremo la gioia della visione celeste.
Concludiamo ancora con le parole del Pontefice, papa Francesco, su questo tema:
“C’è un episodio del Vangelo di Luca che esprime molto bene la profondità e la forza di questo dono.
Dopo aver assistito alla morte in croce e alla sepoltura di Gesù, due suoi discepoli, delusi e affranti, se ne vanno da Gerusalemme e ritornano al loro villaggio di nome Emmaus.
Mentre sono in cammino, Gesù risorto si affianca e comincia a parlare con loro, ma i loro occhi, velati dalla tristezza e dalla disperazione, non sono in grado di riconoscerlo.
Gesù cammina con loro, ma loro sono tanto tristi, tanto disperati, che non lo riconoscono.
Quando però il Signore spiega loro le Scritture, perché comprendano che Lui doveva soffrire e morire per poi risorgere, le loro menti si aprono e nei loro cuori si riaccende la speranza (cfr Lc 24, 13-27).
E questo è quello che fa lo Spirito Santo con noi: ci apre la mente, ci apre per capire meglio, per capire meglio le cose di Dio, le cose umane, le situazioni, tutte le cose.
È importante il dono dell’intelletto per la nostra vita cristiana.
Chiediamolo al Signore, che ci dia, che dia a tutti noi questo dono per capire, come capisce Lui, le cose che accadono e per capire, soprattutto, la Parola di Dio nel Vangelo”.
“Dio dei padri e Signore di misericordia, che tutto hai creato con la tua parola,
che con la tua sapienza hai formato l’uomo, perché domini sulle creature fatte da te,
e governi il mondo con santità e giustizia e pronunzi giudizi con animo retto,
dammi la sapienza, che siede in trono accanto a te e non mi escludere dal numero dei tuoi figli,
perché io sono tuo servo e figlio della tua ancella, uomo debole e di vita breve, incapace di comprendere la giustizia e le leggi.
Se anche uno fosse il più perfetto tra gli uomini, mancandogli la tua sapienza, sarebbe stimato un nulla.
Tu mi hai prescelto come re del tuo popolo e giudice dei tuoi figli e delle tue figlie;
mi hai detto di costruirti un tempio sul tuo santo monte, un altare nella città della tua dimora,
un’imitazione della tenda santa che ti eri preparata fin da principio.
Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo;
essa conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi e ciò che è conforme ai tuoi decreti.
Inviala dai cieli santi, mandala dal tuo trono glorioso,
perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito.
Essa infatti tutto conosce e tutto comprende, e mi guiderà prudentemente nelle mie azioni
e mi proteggerà con la sua gloria.
Così le mie opere ti saranno gradite;
io giudicherò con equità il tuo popolo e sarò degno del trono di mio padre.”
Sapienza 9, 1-12
In questo brano re Salomone invoca il Signore per ottenere il dono della Sapienza.
Oggi iniziamo infatti un percorso per comprendere meglio i doni dello Spirito Santo. Ma cos’é la Sapienza?
La parola sapienza non deriva dall’italiano sapére, come di primo acchito potrebbe sembrare, ma dal latino sàpere che vuol dire gustare.
Alla mente mi viene subito un passo di un salmo che recita: “Gustate e vedete, quanto è buono il Signore!” (Sal 34, 9).
Perciò il dono della Sapienza non va confuso con la conoscenza dottrinale.
Mediante questo dono l’anima diventa facilmente docile all’azione dello Spirito Santo nel contemplare Dio e le cose di Dio e nel valutare e giudicare, sia le cose divine, sia le cose create, alla luce di Dio.
Nel brano del libro della Sapienza, messo in evidenza all’inizio, leggiamo: “La Sapienza conosce le tue opere, conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi e ciò che è conforme ai tuoi decreti.” (cfr. Sap 9, 9). La Sapienza serve a conoscere il volere di Dio.
Papa Francesco ce lo spiega bene: “Non si tratta semplicemente della saggezza umana, che è frutto della conoscenza e dell’esperienza.
La sapienza è proprio questo: è la grazia di poter vedere ogni cosa con gli occhi di Dio. È semplicemente questo: è vedere il mondo, vedere le situazioni, le congiunture, i problemi, tutto, con gli occhi di Dio. Questa è la sapienza.”
È come se avessimo perso il nostro sentire e il nostro vedere umano, per sentire e vedere la realtà delle cose dal punto di vista di Dio e dell’eternità.
San Tommaso scrive: “Il dono della Sapienza si esperimenta attraverso una conoscenza eminente che dà certezza piena, per mezzo di un’intima unione alle cose divine.
La Sapienza ha il suo principio nell’amore, ma la sua essenza nella conoscenza, per cui l’atto suo proprio è la contemplazione delle cose amate e il giudizio, dal punto di vista di queste, di tutte le altre.” (III Sentetiarum, q. 35,2,1)
Il dono della Sapienza ci rende capaci di accogliere la presenza divina attraverso lo Spirito Santo, che effonde in noi l’amore di Dio (cfr. Rm. 5, 5).
È il dono della Sapienza che ci fa percepire l’amore di Dio. Soltanto un cuore illuminato dal dono della Sapienza può amare con quella carità che conduce necessariamente a un amore totale e infinito. Quell’amore divino che ci porta su ali d’aquila verso le vette dei Cieli.
Esiste dunque una reciprocità tra il dono della Sapienza e la virtù teologale della carità: principio della Sapienza è l’amore, ma la Sapienza, a sua volta, termina nell’amore, in quanto perfeziona la carità.
La carità con il dono di Sapienza si sviluppa in tutta la sua pienezza e perfezione.
Frutto del dono della Sapienza è la contemplazione e l’adorazione.
Non si tratta di vedere, ma di sperimentare in contemplazione adorante.
La Sapienza ci rende adoratori di Dio in spirito e verità.
Dio si fa presenza immediata. Ora, davanti a Lui, non si parla più, ma si fa silenzio, si contempla, si adora, ci si lascia immergere il Lui e riempire di Lui.
Chi ha la Sapienza, ha un dono di adorazione profonda. Non solo adora, ma assapora, esperimentandola, la realtà ineffabile di Dio, che è tutto.
La Sapienza è gusto interiore che ci sazia e dà pace.
Il sapiente ha la sua gioia nel servire il Signore, dimenticando se stesso e avendo come unico fine la gloria di Dio.
Senza la Sapienza non può esserci il vero culto a Dio!
Essa ci rende capaci di contemplare Dio e le cose divine e grazie ad essa ogni realtà la vediamo alla luce di Dio. Il dono della Sapienza ci rende capaci di accogliere la presenza divina, si è detto prima. Come Mosé davanti al roveto ardente.
San Giovanni Paolo II affermava che il cristiano vale quanto prega. Dobbiamo tornare alla preghiera, perché solo chi prega, sa poi servire e sporcarsi le mani e solo chi sta in ginocchio, poi può stare anche in piedi.
Ci si può anche dare da fare, ma solo dalla preghiera nasce la visione comune. “Solo con la preghiera il cuore dell’uomo si riempie dell’amore di Dio, si apre all’amore del fratello e diventa capace di costruire la storia secondo il disegno divino.” (Novo Millennio Ineunte 33)
Giungi in conclusione, leggiamo nel testo della Sapienza, che Salomone, quando chiede il dono della Sapienza, afferma: “Mi hai detto di costruirti un tempio sul tuo santo monte!” (Sap 9, 8).
Tramite il dono della Sapienza, il Signore ci invita a camminare sulle Sue vie, a salire sul Suo monte santo, dove staremo alla Sua presenza per contemplare e adorare Dio per mezzo dello Spirito Santo e cantando le Sue lodi, tutti insieme ci prostreremo davanti al Signore.
“Per questo pregai e mi fu elargita la prudenza; implorai e venne in me lo spirito della sapienza.
La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto;
non la paragonai neppure a una gemma inestimabile,
perché tutto l’oro al suo confronto è un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte ad essa l’argento.
L’amai più della salute e della bellezza, preferii il suo possesso alla stessa luce, perché non tramonta lo splendore che ne promana.
Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
Godetti di tutti questi beni, perché la sapienza li guida, ma ignoravo che di tutti essa è madre.
Senza frode imparai e senza invidia io dono, non nascondo le sue ricchezze.
Essa è un tesoro inesauribile per gli uomini;
quanti se lo procurano si attirano l’amicizia di Dio, sono a lui raccomandati per i doni del suo insegnamento”.
Ci stiamo avvicinando alla Festa della Pentecoste, il giorno in cui è disceso lo Spirito Santo su Maria e gli Apostoli radunati nel Cenacolo e di conseguenza su tutta la terra, su tutta l’umanità.
Ho dunque pensato di iniziare un ciclo di riflessioni sui doni dello Spirito Santo.
Lo Spirito Santo è il motore, l’anima della Chiesa e di ogni singolo cristiano. Egli è l’Amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori (cfr. Romani 5, 5). Egli fa del nostro cuore la sua dimora ed entra in comunione con noi. Rimane con noi.
Lo Spirito stesso è “il dono di Dio” per eccellenza (cfr. Giovanni 4, 10). Lo Spirito Santo è “il primo dono fatto ai credenti” (Preghiera Eucaristica IV), è il dono grandissimo comunicato dal Signore risorto: “Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo…»” (Giovanni 20, 22).
È un regalo di Dio, e a sua volta comunica a chi lo accoglie diversi doni spirituali.
La Chiesa ne individua sette, numero che simbolicamente dice pienezza, completezza; sono quelli che si imparano quando ci si prepara al sacramento della Confermazione e che invochiamo nell’antica preghiera detta “Sequenza allo Spirito Santo”.
I doni dello Spirito Santo sono: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio.
Li troviamo in un passo del libro del profeta Isaia:
“Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue radici.
Su di lui si poserà lo spirito del Signore,
spirito di sapienza e di intelligenza,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di conoscenza e di timore del Signore”.
Isaia 11,1-2
In questo brano biblico non troviamo scritto il dono della pietà, in quanto, la versione corrente è fatta direttamente dal testo ebraico. Invece la versione dei settanta in lingua greca, la versione più diffusa al tempo di Gesù e anche quella commentata dai Padri della Chiesa, aggiunge alla conoscenza (scienza) anche il dono della pietà.
Lasciamoci allora guidare dalla docilità dello Spirito Santo, che ci vuole condurre sulla via della santità, riempiendoci dei suoi santi doni.
Accogliamo l’azione dello Spirito Santo, che vuole trasfigurare la nostra vita e l’intera realtà per diventare donne e uomini nuovi, trasformati dalla luce divina per realizzare la salvezza eterna, anticipazione del mondo che verrà, nella gloria di Dio Padre.
Lo Spirito Santo porta l’anima ad amare sempre più autenticamente, azione indispensabile nella vita spirituale di ogni persona.
I doni dello Spirito Santo sono degli abiti spirituali infusi da Dio nelle facoltà dell’anima per ricevere o per assecondare con facilità le mozioni dello Spirito Santo in un modo divino e sovraumano.
Parliamo di abiti, perché sono realtà radicate nella nostra anima. Da questa parola ne deriva un’altra: sono sante abitudini.
Essi sono soprannaturali, cioè non si possono ricevere soltanto con lo sforzo umano, ma sono dono di Dio e vengono da Lui, anche se, evidentemente, lo Spirito Santo necessita della nostra accettazione e collaborazione, perché i doni che ci dà, portino frutto.
Il luogo dei doni è la nostra anima che, grazie a loro, viene resa sempre più intimamente partecipe della natura divina.
Aderendo a questi doni, l’essere umano può diventare perfetto e dolcissimo strumento di Dio.
La vita spirituale si può paragonare a un organismo.
Alla base ci sono le virtù cardinali. Come dice il nome sono i “cardini” della vita morale, cioè le virtù portanti. Sono la prudenza, la giustizia, la fortezza e la temperanza.
Sono virtù umane, cioè che si possono avere dall’uomo mediante la sua ragione, la sua volontà, il suo sforzo, necessarie a dare una base umana allo sviluppo della vita cristiana.
Non provengono dalla grazia divina. Sono quindi ben note e presenti anche nelle altre religioni. Li conoscevano anche i grandi filosofi dell’antichità come Platone, Aristotele, Seneca.
Da queste virtù cardinali si sviluppano poi le virtù teologali, quelle che sono frutto della grazia e che rendono l’anima affine a Dio: Fede, Speranza e Carità.
I doni dello Spirito Santo sono il compimento delle virtù teologali. Per riceverli, dobbiamo essere in grazia di Dio.
Mediante i doni dello Spirito Santo l’anima perviene alle vette della perfezione.
Ci portano e ci aiutano nel cammino di santità, che è il fine stesso della vita di ogni uomo ed è quindi una vocazione valida per tutti, in qualsiasi stato di vita.
I doni dello Spirito Santo sono il culmine della vita spirituale.
Il seguente schema ci aiuta a mettere in evidenza il rapporto tra i doni, le virtù e le beatitudini:
Dono dello Spirito Santo
Virtù
Beatitudine
Sapienza
Carità
Beati gli operatori di pace
Intelletto
Speranza
Beati i puri di cuore
Consiglio
Prudenza
Beati i misericordiosi
Fortezza
Fortezza
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia
Scienza
Fede
Beati gli afflitti
Pietà
Giustizia
Beati i miti
Timore di Dio
Temperanza
Beati i poveri in spirito
Quello che iniziamo oggi è dunque un percorso affascinante, perché é attraverso questi santi doni che noi, già su questa terra, siamo resi partecipi della natura divina e diventiamo strumenti di Dio per la salvezza del mondo.
“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia,
non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.
[…]
Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!”
“Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio;
pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!
Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.
Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria,
cose tutte che attirano l’ira di Dio su coloro che disobbediscono.
Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi.
Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca.
Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni
e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.
Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.
Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza;
sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi.
Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione.
E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!
La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali.
E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre”.
Colossesi 3, 1-17
Quello che scrive San Paolo è un programma di vita, di vita nuova, di vita da veri cristiani.
Siamo risorti con Cristo! Cerchiamo dunque le cose del Cielo, quelle spirituali e non quelle mondane.
Facciamo morire in noi ogni egoismo.
Spogliamoci dell’uomo vecchio con tutte le sue azioni e rivestiamoci dell’uomo nuovo, che si rinnova continuamente per giungere alla piena conoscenza, a immagine del nostro Creatore, Dio.
Siamo chiamati a divenire santi, come il Signore è santo.
Se diventare simili a Cristo dipendesse dalle nostre capacità e dai nostri sforzi, non troveremmo mai dentro di noi la forza necessaria per farlo. Prima o poi, ci abbatteremmo, perdendoci d’animo, pensando che ciò che Dio chiede a noi sia troppo difficile e che non saremmo mai all’altezza delle sue aspettative.
È lo Spirito Santo che ci conforma a Cristo, è Lui che ci da quella forza necessaria per realizzarci. È Lui che ci rende santi.
In questi versetti San Paolo ci pone davanti una visione dell’etica e della vita cristiana che non solo risulta fattibile, ma anche irresistibilmente bella.
Passo dopo passo, l’Apostolo Paolo radica le virtù della vita cristiana nell’opera già compiuta da Gesù Cristo, ricordandoci che chi dobbiamo essere, lo siamo già in Lui. In altre parole, San Paolo ci incoraggia dicendo: “Diventate ciò che già siete!”
Tutto parte dalla risurrezione: “Se dunque siete risorti con Cristo…” Il “se” iniziale è critico, perché se non siamo risuscitati con Cristo, allora nulla di ciò che segue ci sarà né possibile, né comprensibile.
D’altro canto, se siamo risorti con Cristo, possiamo affermare che tutto ciò che viene sostenuto dopo da San Paolo è già vero di noi, ed è stato sempre vero in noi anche quando ne eravamo inconsapevoli!
Paolo dice in effetti: “Voi che credete in Cristo Gesù, fate i conti con la vostra realtà in Cristo: non siete più schiavi del peccato, ma siete morti a esso e ora vivete in Cristo!”
Mentre noi, per vari motivi, siamo propensi a pensare che San Paolo metta in opposizione il fisico e lo spirituale, la materia e l’immateriale, in realtà qui scopriamo che mette in opposizione il vecchio e il nuovo, il passato e il futuro.
“Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con Lui nella gloria”. È una questione di tempo, non di spazio! San Paolo non dice: “Pensate alle cose di lassù, perché le cose fisiche sono irrilevanti rispetto alle cose spirituali” ma “Pensate alle cose di lassù perché Cristo un giorno sarà manifestato e allora si riveleranno anche la nostra vita e la nostra terra sante e incorruttibili, mentre tutto ciò che è peccaminoso e corruttibile scomparirà”.
Il mondo come lo vediamo adesso — ingiusto, depravato, pericoloso e senza senso — sarà al ritorno di Cristo trasformato, sarà giusto, glorioso, sicuro e perfetto.
Così anche noi, ora deboli, peccatori, malati, dolenti, al ritorno di Cristo saremo resi perfettamente conformi a Lui, spiriti santificati, cuori purificati, corpi risuscitati e incorruttibili, anime gioiose.
E il grande mistero è questo: tutto questo è già avvenuto in Cristo stesso. Nella sua morte ha distrutto il potere del male, nella sua risurrezione ha vinto il potere della morte e ora Gesù, seduto alla destra di Dio in Cielo, sta regnando per portare a compimento il regno di Dio su tutta la terra.
Il problema è che non vediamo questa realtà con i nostri occhi: vediamo ancora il male, subiamo ancora la morte, gemiamo sotto l’oppressione dei regni umani.
Ecco perché San Paolo ci tiene molto a ricordarci che la vita che ora vediamo con i nostri occhi, non è la nostra vera vita, perché essa è nascosta con Cristo in Dio. È nascosta, perché Cristo stesso è la nostra vera vita e Lui è in Cielo presso il Padre.
Nel testo della lettera ai Colossesi, San Paolo si mette a precisare le caratteristiche dell’uomo vecchio, che però è stato messo a morte sulla croce di Cristo e destinato quindi a scomparire.
Tutte le opere e le attitudini cattive, che caratterizzano l’uomo vecchio, non dovrebbero contraddistinguere i cristiani, i quali sono tenuti a deporle e farle morire, come dice San Paolo.
In Cristo, le vecchie distinzioni, divisioni, e attitudini, che definiscono le persone di ogni razza o classe sociale, sono state cancellate.
Cristo ha santificato l’umanità, che ha assunto nella sua incarnazione, vivendo una vita priva di ogni fornicazione, impurità, passione cattiva, cupidigia, ira, collera, malignità, calunnia, parola oscena, o menzogna.
In quanto noi siamo in Cristo e Cristo vive in noi, non possiamo vivere più come l’uomo vecchio.
Per San Paolo, l’etica cristiana si basa non su quello che noi facciamo, ma su quello che ci è stato fatto in Cristo. Se cadiamo in tentazione e manifestiamo le caratteristiche dell’uomo vecchio, è in gran parte perché abbiamo dimenticato chi siamo in Cristo.
Siamo gli “eletti di Dio”, un termine tratto dall’Antico Testamento che identifica il popolo consacrato a Dio per essere il suo tesoro particolare, “un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19, 5-6).
Siamo eletti, San Paolo ci ricorda, non perché siamo superiori o più desiderabili degli altri, ma soltanto perché siamo in Cristo che è l’unico vero eletto di Dio. Siamo inoltre santi, non per meriti nostri, non perché siamo riusciti ad arrivarci o perché abbiamo compiuto miracoli riconosciuti dal Vaticano, ma di nuovo perché siamo in Cristo, l’unico vero Santo. Siamo santi, perché Lui è Santo. E siamo amati, non perché siamo bravi e belli, ma perché siamo dell’amato Figlio di Dio, che si è sacrificato per noi.
San Paolo ci tiene a ricordarci questo, perché il nostro fare viene sempre dal nostro essere. In quanto sappiamo di essere eletti di Dio, santi e amati, vivremo come eletti di Dio, santi e amati.
San Paolo fornisce un elenco non esauriente, ma solo indicativo delle caratteristiche dell’uomo nuovo.
Come eletti, santi e amati, dobbiamo vestirci di:
sentimenti di misericordia: come Gesù che ha sempre mostrato misericordia e compassione nei confronti dei peccatori, non etichettandoli, emarginandoli, o evitandoli, ma amandoli col cuore;
benevolenza: come Gesù che ha sempre dato ad altri con generosità senza rinfacciare o chiedere qualche ricompensa;
umiltà: come Gesù che non ha cercato il proprio interesse ma quello degli altri;
mansuetudine: come Gesù che non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per tutti;
pazienza: come Gesù che ha sopportato l’ira, la malignità, la calunnia, le menzogne e tante altre afflizioni dovute all’uomo vecchio;
perdono: come Gesù che ha perdonato noi, che una volta eravamo i suoi nemici e peccatori;
amore: come Gesù che ci ha amato così tanto da donare la sua vita per noi e ci ama ancora con un amore così grande, che siamo perfettamente ed eternamente vincolati a Lui;
pace: come Gesù che ci ha riconciliato con Dio e gli uni con gli altri, facendoci diventare un unico corpo tra di noi e con Lui;
riconoscenti: come Gesù che ha sempre mostrato riconoscenza nei confronti di Dio Padre.
Come vediamo, ogni virtù che deve manifestarsi nella nostra vita è già stata vissuta prima di tutto in Gesù stesso. Basta leggere i vangeli per scoprirlo.
E siccome questo Gesù, che è lo stesso ieri, oggi e domani, è Colui che vive in noi e noi in Lui, così anche le sue virtù non possono fare altro che manifestarsi in noi!
Certo, dobbiamo sempre lottare contro l’uomo vecchio che stranamente vuole sempre scendere dalla croce e quindi cadiamo sovente in tentazione. Non dobbiamo pensare che possiamo raggiungere la perfezione in questa vita. Ma più ci sottomettiamo a Cristo, più Lui è libero di manifestare la sua vita in noi.
E non siamo da soli, perché Dio ci ha fatto diventare parte del corpo di Cristo.
Nessuno di noi è in grado di crescere in Cristo da solo. Le varie virtù elencate da San Paolo non possono manifestarsi, se non in comunità.
Non possiamo dimostrare misericordia, benevolenza, umiltà, perdono, ecc., se non siamo in comunione con altre persone!
La comunità cristiana, la chiesa locale, è dunque indispensabile per la nostra crescita, sia perché possiamo dimostrare queste virtù solo nei confronti degli altri, sia perché sono gli altri a stimolarci a crescere sempre di più in Cristo.
Inoltre la Parola di Cristo, che è lo strumento principale che Egli usa per farci crescere in Lui, abita in noi abbondantemente solo nella misura in cui ci ammaestriamo e ci esortiamo gli uni gli altri, e questo per mezzo di canti, salmi, inni e cantici spirituali.
Ogni membro della chiesa è un ministro di culto, un ministro della Parola di Cristo che ha il privilegio di ammaestrare e di esortare gli altri e poi a sua volta di essere ammaestrato ed esortato dagli altri. E così, e soltanto così, che la Parola di Cristo abiterà in noi dove compirà la sua opera perfetta.
Il fine di tutto questo, forse la caratteristica principale della chiesa in cui la Parola di Cristo abita, delle persone nelle quali Gesù manifesta la sua vita, è che qualunque cosa facciamo, in parole o in opere, la facciamo nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di Lui.
Se viviamo veramente così, il mondo lo noterà, perché è totalmente contrario al tipico stile di vita, molto diverso anche dalla sola “morale” o “educazione”.
Quale grande testimonianza possiamo dare, semplicemente attraverso la vita che conduciamo in Cristo Gesù!
“Gesù è uscito dalla tomba per noi, è risorto per noi, per portare vita dove c’era morte, per avviare una storia nuova dove era stata messa una pietra sopra.
Lui, che ha ribaltato il masso all’ingresso della tomba, può rimuovere i macigni che sigillano il cuore.
Perciò non cediamo alla rassegnazione, non mettiamo una pietra sopra la speranza.
Possiamo e dobbiamo sperare, perché Dio è fedele.
Non ci ha lasciati soli, ci ha visitati: è venuto in ogni nostra situazione, nel dolore, nell’angoscia, nella morte.
La sua luce ha illuminato l’oscurità del sepolcro: oggi vuole raggiungere gli angoli più bui della vita”.
Papa Francesco – Veglia di Pasqua 2020
È questo il mio augurio di una Santa Pasqua di Resurrezione.
La fiducia, necessaria per vivere, nasce dalla verità
La convivenza umana nella famiglia, nei gruppi e nella società è fondata sulla fiducia reciproca.
Senza fiducia si vive nel sospetto, nella paura, in atteggiamento di continua difesa.
La fiducia invece fa cadere le barriere che dividono, permette l’incontro, la collaborazione, la festa…
Le parole non vere e il comportamento falso minano alla radice la fiducia.
Per questo sono un grave male, un peccato.
Sincerità, espressione concreta d’amore
Ispirandosi all’insegnamento e all’esempio di Gesù, il cristiano è semplice e onesto, dice sempre e nel modo più opportuno la verità.
Questo è per lui un modo concreto di esprimere il suo amore per il prossimo.
I rapporti interpersonali quotidiani sono costellati di occasioni in cui viene messa alla prova la sincerità.
I pettegolezzi, le mormorazioni, le critiche ingiustificate o inopportune, sono azioni molto frequenti, fatte con estrema disinvoltura e superficialità, quasi fossero cose insignificanti.
Esse in realtà avvelenano o rendono molto pesante la convivenza dei gruppi e comunità e recano spesso grave danno al prossimo.
La veracità deve essere presente in tutti i rapporti tra le persone, ma ci sono alcuni momenti e situazioni in cui diventa particolarmente grave l’assenza di essa.
È quanto ricorda l’ottavo Comandamento del Decalogo: “Non dire falsa testimonianza”, facendo esplicito riferimento ai processi, nei quali sono in gioco la vita oppure la libertà, l’interesse economico, il buon nome di una o più persone.
Testimoniare il falso in un processo, permettendo o provocando un’ingiusta condanna, è uno dei peccati più gravi, equivalente in alcuni casi all’omicidio.
Danni simili possono essere provocati dalle dichiarazione non vere o calunnie sul conto di una determinata persona, famiglia, gruppo.
Per dovere di giustizia, il male fatto agli altri deve essere efficacemente riparato.
Cause dell’ipocrisia, della falsa testimonianza sono soprattutto l’ambizione personale, il timore di fare brutta figura, di perdere la stima e di essere puniti, l’interesse economico, l’invidia, la concorrenza, …
Il cristiano è impegnato a combattere seriamente questi atteggiamenti sbagliati, costruendosi una personalità vera, capace di dare e di ricevere fiducia.
Gesù è la verità
Nel Vangelo di San Giovanni Gesù afferma di sé: “Io sono la via, la verità e la vita”(Gv 14, 6).
Dopo essersi definito la via che conduce al Padre, il Signor Gesù dichiara di essere la verità, dandone testimonianza con la sua vita e il suo insegnamento.
“Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18, 37). Queste sono le parole rivolte da Gesù a Pilato che lo stava interrogando s’egli fosse veramente il re d’Israele.
Parole che il procuratore romano non capisce e che gli fanno chiedere: “Che cos’è la verità?” (Gv 18, 38), senza però attendere la risposta.
Difatti subito si allontanò.
Peccato, perché ha perso l’occasione propizia di sapere da Gesù che la verità ch’egli attribuiva a sé stesso, significa la sua persona, la sua Parola, la sua opera.
Tutta la storia della salvezza è verità perché rivelazione, cioè manifestazione del piano di salvezza di Dio.
La rivelazione ha il suo culmine e la definitiva realizzazione in Gesù Cristo, il quale perciò è la verità, è la rivelazione.
Rivelazione significa appunto verità rivelata.
Gesù è la verità su Dio che lo fa conoscere come Padre, Padre suo e nostro.
“Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Gv 8, 31-32).
Se così farete, dice Gesù, io vi libererò dalla schiavitù dell’ignoranza, del demonio e del peccato.
Dichiarandosi verità, Gesù si eguaglia e si identifica con Dio: questa è davvero una inconfutabile, convincente, autorevolissima dichiarazione della sua divinità.
La vita eterna e la salvezza si acquistano solo per mezzo di Cristo, il depositario della verità.
“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1, 14).
Papa Francesco discutendo sull’ottavo Comandamento, ci insegna:
“Vivere di comunicazioni non autentiche è grave perché impedisce le relazioni e, quindi impedisce l’amore.
Dove c’è bugia non c’è amore, non può esserci amore.
E quando parliamo di comunicazione fra le persone intendiamo non solo le parole, ma anche i gesti, gli atteggiamenti, perfino i silenzi e le assenze.
Una persona parla con tutto quel che è e che fa. Tutti noi siamo in comunicazione, sempre. Tutti noi viviamo comunicando e siamo continuamente in bilico tra la verità e la menzogna. ”
La verità trova la sua piena realizzazione nella persona stessa di Gesù (cfr Gv 14,6), nel suo modo di vivere e di morire, frutto della sua relazione con il Padre.
Questa esistenza da figli di Dio, Egli, risorto, la dona anche a noi inviando lo Spirito Santo che è Spirito di verità, che attesta al nostro cuore che Dio è nostro Padre (cfr Rm 8,16).
La verità è la rivelazione meravigliosa di Dio, del suo volto di Padre, è il suo amore sconfinato.
Questa verità corrisponde alla ragione umana ma la supera infinitamente, perché è un dono sceso sulla terra e incarnato in Cristo crocifisso e risorto; essa è resa visibile da chi gli appartiene e mostra le sue stesse attitudini.
Non dire falsa testimonianza vuol dire vivere da figlio di Dio, che mai, mai smentisce se stesso, mai dice bugie; vivere da figli di Dio, lasciando emergere in ogni atto la grande verità: che Dio è Padre e ci si può fidare di Lui.
Io mi fido di Dio: questa è la grande verità.
Dalla nostra fiducia in Dio, che è Padre e mi ama, ci ama, nasce la mia verità e l’essere veritiero e non bugiardo” .
Mass media a servizio della verità per la liberazione dell’uomo
Nella nostra società odierna hanno grande rilevanza i mass media o strumenti di comunicazione di massa (libri, giornali e altri periodici, cinema, radio, televisione, internet in tutte le sue sfaccettature).
Essi possono rendere uno straordinario servizio alla verità, diffondendo ampiamente informazioni che accrescono il patrimonio delle conoscenze e favoriscono il progresso civile.
Possono inoltre aiutare gli uomini a comunicare tra loro, a comprendersi e a collaborare.
La missione della Chiesa è portare la salvezza a tutti gli uomini, come Gesù ci ha comandato: “Andate e predicate il Vangelo a tutte le genti sino agli estremi confini della terra” (At 1, 8).
Per diffondere il Vangelo e predicare l’annuncio della salvezza è necessario utilizzare anche questi strumenti.
I mass media però possono essere usati anche per il male: per propagare la menzogna e l’errore, per spingere alla violenza o verso altre passioni distruttive dell’uomo, per danneggiare, soprattutto con diffamazioni o calunnie, persone, gruppi e istituzioni.
Così le persone o il gruppo (economico, politico o culturale) che ha il controllo degli strumenti di comunicazione di massa, che monopolizza l’informazione, ha in mano un grandissimo potere, fino alla decisione della vita o della morte sociale di un’altra persona o gruppo.
Lo vediamo bene nelle varie dittature passate e ancora presenti.
La possibile azione demolitrice dei mass media si realizza non solo attraverso la notizia falsa, ma anche attraverso la notizia vera, però parziale, attraverso la censura su determinati fatti o attraverso il giudizio tendenzioso su di essi.
Di qui la necessità di un controllo sociale sui mass media, perché non si trasformino in strumenti di dominio e oppressione e ancora di più, la necessità di diventare critici nei confronti di essi, per non lasciarsene condizionare.
Secondo un modo di pensare molto diffuso, la misura della riuscita nella vita è l’avere.
Attraverso le cose, l’uomo afferma se stesso, conquista uno spazio sempre maggiore di potere, domina sugli altri, si gode l’esistenza…
La concezione opposta, pone la realizzazione dell’uomo nell’essere, più precisamente nell’essere con e nell’essere per gli altri.
L’uomo si realizza nella comunione interpersonale. Le cose sono mezzi per esprimere e promuovere questa comunione; e, in quanto mezzi, devono essere possedute “con distacco” e relativizzate.
L’origine dei termini “Avere” e “Essere”
«Avere», da un punto di vista linguistico, in molte culture è espresso in termini di possesso.
Ad esempio in ebraico «io ho» deve essere espresso mediante la forma indiretta jesh li («è a me», «è mio»).
«Essere» può essere utilizzato per esprimere il concetto di esistenza.
Dio stesso, nel libro dell’Esodo, si manifesta a Mosè chiamandosi: “Io sono colui che sono”, “Io sono colui che è” (Es 3, 14).
Gesù nel Vangelo di San Luca dice a proposito di questa diatriba tra avere e essere: «Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la propria vita per me, colui la salverà. Infatti, che giova all’uomo l’aver guadagnato il mondo intero, se poi ha perduto o rovinato se stesso?» Lc 9, 24-25
Guadagnare il mondo intero, ma perdere se stessi!
Il messaggio cristiano opera davvero un capovolgimento totale dei valori più diffusi e ambiti della nostra società e di sempre.
La realizzazione dell’uomo e la felicità non stanno nel successo, nella ricchezza o nel potere, ma nel dare la propria vita agli altri.
Non c’è prezzo per acquistare la vita eterna, la salvezza ci viene gratuitamente da Dio. Dobbiamo unicamente aprire il nostro cuore a Lui, accettandolo come Signore e Salvatore della nostra vita.
Ricordate la parabola del ricco stolto raccontata da Gesù nel Vangelo di San Luca?(cfr. Lc 12, 16-21) La stoltezza del ricco non sta nel fatto che quando muore deve lasciare i beni agli eredi, quanto nell’aver accumulato tesori per se stesso e non presso Dio.
Dunque il compimento dell’uomo e la sua felicità non stanno nell’accumulare cose, ma piuttosto nello stare con Dio, nello scoprirsi essere amati da Dio, essere figli suoi, essere uomini nuovi, essere salvati da Lui. È questo l’insegnamento delle Beatitudini.
Non stanno nell’avere, bensì nell’essere.
Il possesso è la questione centrale dell’avere, ma ha una valenza mutevole in quanto strettamente dipendente dal valore di cui è investito il bene/oggetto.
Seneca infatti, nelle Lettere a Lucilio, afferma: «Possedere un bene non serve a niente se non si è pronti a perderlo. E i beni la cui perdita è più facilmente tollerabile sono quelli che, perduti, non possono essere oggetto di rimpianto».
Erich Fromm: Avere o Essere?
Secondo lo psicologo Erich Fromm ci sono due categorie attraverso le quali vengono distinti gli individui: coloro che vivono secondo la modalità dell’avere e coloro che seguono invece un sistema di vita incentrato sull’essere.
La modalità esistenziale dell’avere è tipica di coloro che hanno un rapporto col mondo di possesso e proprietà e aspirano ad impadronirsi di ogni cosa e di ogni persona, compreso se stessi.
Essere significa invece rinnovarsi, crescere, espandersi, amare, trascendere il carcere del proprio io isolato, provare interesse, prestare attenzione, dare.
La modalità esistenziale dell’essere rimanda a ciò che è consistente, autentico e vero, alla vera natura, all’essenza di una persona o di una cosa, oltre ogni apparenza.
Nel consumismo Fromm identifica la principale forma dell’avere, introducendo una formula inquietante: “Io sono = ciò che ho e ciò che consumo”.
Nell’esperienza quotidiana la modalità dell’avere è considerata dall’uomo come la più naturale, anzi talvolta rappresenta l’unico stile di vita accettabile.
Ma c’è un’altra distinzione che afferma meglio la differenza essenziale tra queste due modalità, come riporta lo stesso Fromm: “L’avere si riferisce alle cose e le cose sono fisse e descrivibili. L’essere si riferisce all’esperienza e l’esperienza umana è in via di principio indescrivibile”.
Stupenda è inoltre l’intuizione temporale che colloca l’essere nel qui e ora (hic et nunc) e la modalità dell’avere nel tempo presente, passato e futuro perché secondo questa seconda modalità noi siamo legati a ciò che abbiamo accumulato in passato e guardiamo al futuro come all’anticipazione di quel che diverrà il passato.
L’uomo nuovo secondo Fromm deve possedere delle precise caratteristiche, tutte imperniate nella modalità esistenziale dell’essere.
Se gli esseri umani riuscissero a vivere, anche solo un poco, secondo questa modalità e quest’etica, l’intera società ne gioverebbe e sparirebbero come d’incanto tutta una serie di mali e di accidenti radicati da secoli nel mondo.
L’uomo nuovo di Fromm, collocato nella società nuova, è forse una visione un po’ utopica, alla luce dell’attuale deriva dell’umanità, ma vale davvero la pena soffermarsi su questi aspetti determinanti per l’individuo.
La condizione di apatia, disinteresse, assenza di stimoli e vitalità, nel solco di una piena esistenza incentrata sull’avere sono lo specchio dell’attuale società che restituisce un uomo contemporaneo ridotto a semplice ingranaggio di un sistema marcio e corrotto, manipolato nel pensiero e nell’azione dai mass media, al quale non è consentito pensare con la propria testa, ma che deve usufruire di un pensiero univoco e omologato, preconfezionato e standardizzato, a lui riservato; un uomo a cui è concesso solo consumare, sopravvivere in un ambiente malato, per poter continuare ad alimentare la legge del consumo, unico fine.
Un dono per un servizio
Seguendo l’insegnamento della Bibbia, il cristiano non rifiuta le cose e non le disprezza: le considera invece in sé buone (cfr. Gn 1, 31).
Sono per lui un dono, di cui è riconoscente a Dio.
Ma questo dono è un impegno: le cose non sono state date a lui per un egoistico possesso, e tanto meno come uno strumento per il dominio e l’oppressione degli altri; gli sono state date per un servizio.
Non lasciarsi dominare dalle cose
Le cose sono però sempre una “tentazione”; c’è il pericolo di diventare schiavi di esse.
In tutta la Bibbia troviamo richiamata con forza l’esigenza di instaurare un rapporto giusto con le cose.
Due esempi significativi.
Nella lettera agli Ebrei viene fatta ai cristiani questa raccomandazione: “La vostra vita non sia dominata dal desiderio dei soldi” (Eb 13, 5).
E nel Vangelo di San Matteo, Gesù afferma: “Dove sono le tue ricchezze, là c’è anche il tuo cuore” (Mt 6, 21). “Non potete servire allo stesso tempo Dio e i soldi” (Mt 6, 24). “Cercate il regno di Dio e fate la sua volontà; tutto il resto vi sarà dato in più” (Mt 6, 33).
Il messaggio del 7° e del 10° Comandamento
La più grande disgrazia per l’uomo è fare delle cose, lo scopo della propria vita.
Solo l’uomo che sa dominare le cose, che le sa usare come mezzo, resta libero per un rapporto autentico e profondo con Dio e con gli altri, e cresce veramente in umanità.
L’avarizia, la cupidigia, la smania di possesso sono alla base della maggior parte delle tensioni, degli odi, delle lotte tra gli uomini.
È in questa luce che devono essere letti il 7° e il 10° Comandamento del Decalogo, espressi così nella formulazione tradizionale: “Non rubare” e “Non desiderare la roba d’altri”.
La preoccupazione fondamentale dei due Comandamenti è quella di eliminare la violenza fra gli uomini, che si esprime attraverso l’ingiusta appropriazione dei beni altrui.
Anzi questa violenza, che nasce dalla mancanza di amore ed è causa di divisioni e lotte nella comunità, viene colpita nella sua radice profonda, a livello di “desiderio”.
L’ “avere” è per l’ “essere”
La difesa della proprietà presuppone che le cose, acquistate con mezzi onesti da una persona, come pure da una famiglia, da un gruppo o comunità, da uno Stato, possano essere legittimamente possedute.
E questo diritto deve essere rispettato dagli altri. La giustificazione di tale diritto sta nella funzione delle cose: sostanzialmente esse sono necessarie per la sopravvivenza dei singoli, per l’incontro fra loro, per costruire le comunità e la società.
Se correttamente inteso, il possesso crea spazi di autonomia e di libertà, che sono fondamentali per una vita degna dell’uomo e questo deve essere anzitutto dei beni di prima necessità.
Ovviamente il 7° e il 10° Comandamento non intendono difendere la proprietà disonestamente acquistata o l’uso ingiusto, egoistico, e dissennato delle cose.
La Bibbia insiste sulla destinazione dei beni della terra a tutti gli uomini e sullo stretto dovere della condivisione, così che nessuno debba soffrire o morire a causa dell’egoismo di altri uomini.
Dio giudicherà tutti sul comportamento nei confronti di coloro che erano nel bisogno (cfr. Mt 25, 31-46).