La via delle Beatitudini – IV

Oggi stiamo vivendo un momento di grande difficoltà. Da una parte l’emergenza del coronavirus ha portato ad una crisi sanitaria ed economica, che è sotto gli occhi di tutti. Ma questo disagio aggrava ulteriormente lo smarrimento che la società odierna sta passato. Non parliamo solo di crisi economica, ma ancora peggio: abbiamo perso la nostra identità e non sappiamo più chi siamo. E, dunque, è anche un problema sapere cosa vogliamo e cosa possiamo essere.

C’è una crisi morale, in cui molti valori che una volta erano fondamentali, hanno perso di importanza e viceversa motivi effimeri sono divenuti essenziali.

La via d’uscita dalla crisi è sempre più lontana. Oggi più che mai abbiamo bisogno di indicazioni riguardo a noi stessi. Dobbiamo capire come realizzarci in giusta maniera.

Il Discorso della Montagna è uno dei luoghi del Vangelo in cui tutto ciò viene proclamato. Si parla di chi è beato. Beato è chi si realizza pienamente come essere umano. E Gesù proclama appunto questo. Lo annuncia in forma paradossale. Perché la mentalità comune considera beato proprio chi fa il contrario di ciò che lui dice.

Approfondiamo oggi la prima delle otto Beatitudini, narrate dal Vangelo di Matteo.

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Matteo 5, 3).

Rispetto alla mentalità di questo mondo, risulta paradossale che la povertà sia oggetto di gioia.

Chiunque vorrebbe combattere la povertà, giustamente, ma in questo passaggio della Bibbia, non parliamo tanto di povertà di tipo economico, ma piuttosto dei “poveri del Signore” della tradizione biblica, gli “anawim”, quelle anime che si abbandonano fiduciosamente nel Signore, proprio perché sono mendicanti di Dio.

Nell’umiltà riconoscono l’infinita grandezza di Dio e la propria piccolezza e non temono, ma affidano a Dio tutto se stessi e sanno di avere da lui la vita e tutto il bene.

Per cui l’atteggiamento è di un’anima umile, che confida solo nel Signore Dio (cfr. Sof 3,12).

I poveri in spirito sono i veri umili, coloro che, combattendo le difficoltà di tutti i giorni, hanno preso coscienza dei propri limiti. Questi hanno scoperto la loro povertà di esseri umani. Sanno che gli avvenimenti della vita sono legati solo in parte alla propria volontà.

I poveri in spirito sono quelli che capiscono che il loro io non è il centro del mondo e che il mondo non dipende da loro. Lo possono fare aprendosi agli altri. Lo possono fare aprendosi a Dio. E trovando in questa relazione la prospettiva e la forza, per vivere nel modo giusto quanto li può capitare.

Le persone al lato opposto sono coloro che hanno ogni pretesa di dominare e prevalere sull’altro, che hanno ogni egoistico possesso materiale o spirituale.

I poveri in spirito sono coloro che si riconoscono per quello che sono: un nulla davanti a Dio. L’umiltà è quindi riconoscere la nostra vera natura, la nostra povertà e la nostra piccolezza di fronte alla ricchezza e alla grandezza di Dio. Per questo il Regno dei Cieli appartiene a queste persone, perché confessano l’onnipotenza di Dio, lo accettano come Re della loro vita. Vivono già in questo regno.

Per Gesù proprio questi poveri sono i primi destinatari del Vangelo, della Buona Notizia del Regno di Dio che egli annuncia (cfr. Mt 11,5-6; Lc 4,18): venuto per narrare a ogni essere umano il volto di Dio (cfr. Gv 1,18), Gesù ha vissuto quale “mite e umile di cuore” (Mt 11,29) e ha testimoniato il Regno dei Cieli vivendo in prima persona un’esistenza colma di senso. Egli, infatti, aveva una ragione per la quale valeva la pena spendere la vita, fino alla morte: la libera scelta di amare tutti gli uomini suoi fratelli, persino i nemici.

Abbandono in Dio e difesa del debole sono i luoghi in cui “Dio regna” già ora, non in un futuro di là da venire.

Come detto la povertà che si racconta qui, non è un mancare di tutto, non è miseria o indigenza, ma è una rinuncia a possedere per sé: ciò che si ha e si è, va sempre condiviso con gli altri; ciò che si ha e si è, non va considerato come un privilegio, come un titolo di successo o di potere, ma occorre condividerlo, senza trattenerlo per sé…

Non lo si ripeterà mai abbastanza: il vero nome della povertà vissuta da Gesù Cristo, e dunque della povertà cristiana, è condivisione. Per questo il discepolo abbandona casa e campi per seguire Gesù, abbandona anche la sicurezza della famiglia per stare con lui (cfr. Mc 10,29 e par.); egli condivide con i poveri ciò che possiede, perché sa che il giudizio incombe e che nel giudizio Dio si mostra come vendicatore dei poveri, come colui che rende loro giustizia.

E la croce come esito di una vita vissuta nella giustizia rivela la povertà vera di Gesù: nessuno a difenderlo, nessuno a sostenerlo, come un uomo che non conta nulla per il potere e per la gente, un uomo solo e povero come il Servo sofferente di Isaia, come il giusto povero che nei Salmi può unicamente gridare a Dio, affidandogli tutta la propria vita!

Gesù è stato “il povero del Signore”, dalla nascita fino alla morte: è stato libero come può esserlo solo chi è povero nel cuore; è stato capace di accogliere le umiliazioni, sottomettendosi per amore a tutti coloro che incontrava, senza rispondere alla violenza con la violenza, ma continuando sempre a vivere nell’autentica, profonda povertà.

Gesù ha saputo ascoltare il grido del povero, davanti al quale si è invece tentati di distogliere lo sguardo. Così facendo, ha tracciato per noi un cammino preciso: dopo di lui, il povero che manca del necessario per vivere con dignità è “sacramento” di Cristo, perché con lui Gesù ha voluto identificarsi nel discorso sul giudizio finale (cfr. Mt 25,31-46), ma è nello stesso tempo “segno” dell’ingiustizia che vige nel mondo, del venir meno degli umani al comandamento dell’amore per il prossimo.

Solo attraverso l’assunzione della semplicità e la disponibilità a rendere ogni giorno povero il nostro cuore, “sulle tracce di Cristo” (cfr. 1Pt 2,21), giungeremo alla comunione fraterna: è così che nostro “è il regno di Dio” perché Dio regna nelle nostre vite; è così che si può sperimentare già qui e ora, immersi nel duro mestiere di vivere, la beatitudine dei poveri in spirito, concessa a chi si esercita a fare della propria esistenza un capolavoro di amore.

La via delle Beatitudini – III

Gesù, uomo delle beatitudini

Beati i poveri

Gesù nasce povero,

muore nudo e solo su una croce.

Sceglie una vita povera,

non cerca ricchezze e onori.

Non sta con i potenti del mondo.

Condivide la sorte degli ultimi,

di quelli che non contano nulla

e attendono tutto da Dio.

A loro annuncia

la buona novella della salvezza.

Gesù è l’uomo povero e libero

che si abbandona

nelle mani del Padre

e lo prega con fiducia.

Gesù vive sempre

in comunione con Dio:

Gesù è il regno di Dio.

Beati gli afflitti

Gesù piange con chi piange,

si fa carico del dolore degli altri

e risponde al loro grido di aiuto.

Egli dona la vista ai ciechi,

l’udito ai sordi,

fa camminare gli storpi,

guarisce i malati di lebbra…

Al suo passaggio

il pianto si trasforma in gioia,

l’angoscia in speranza,

la morte in vita.

Gesù è la consolazione

di coloro che soffrono.

Beati i miti

Gesù è mite e umile di cuore.

Non tratta nessuno con violenza,

ma è buono verso tutti.

Non vuole dominare sugli altri.

ma sceglie l’ultimo posto

e si mette a loro servizio

fino a donare per essi la vita.

Gesù è un Messia d’amore,

è il re della Pace:

non usa la forza

per portare la salvezza

e per instaurare il suo regno

di giustizia e di pace.

Beato chi ha fame e sete di giustizia

Gesù è “giusto” con Dio e con gli uomini,

desidera ardentemente

di fare la volontà di Dio.

È disposto ad affrontare

anche la morte,

pur di compiere la missione

che il Padre gli ha affidato.

Gesù è il Figlio obbediente

che si sazia

con il pane della fedeltà,

che beve sino in fondo

il calice dell’obbedienza.

Beati i misericordiosi

Gesù è misericordioso

e grande nel perdono.

Egli non è venuto per condannare,

ma per portare a tutti la salvezza.

È venuto a cercare

ciò che era perduto.

Gesù accoglie i peccatori,

siede a mensa con loro,

li invita alla conversione.

Nel suo amore senza limiti

perdona coloro

che lo hanno condannato

a morire sulla Croce

e chiede per loro

il perdono di Dio.

Beati i puri di cuore

Gesù è puro di cuore,

limpido e sincero.

È l’uomo senza maschere,

che non ha secondi fini

e non inganna mai nessuno.

Dice con amore la verità a tutti

e denuncia ogni forma

di ipocrisia e di doppiezza.

Davanti al Sommo Sacerdote,

dichiara apertamente,

di essere il Messia tanto atteso,

il Figlio di Dio.

Preferisce morire

piuttosto che tradire la verità.

Sul volto di Gesù, vero uomo,

risplende il volto di Dio.

Beati gli operatori di pace

Gesù è venuto a portare la pace,

quella vera, che nasce

dalla giustizia e dall’amore.

Il suo è un messaggio

di riconciliazione e di fraternità.

Egli abbatte

il muro delle divisioni;

spezza il cerchio della violenza

e rompe il vortice della vendetta

con l’amore che perdona.

Gesù risponde all’odio

con l’amore,

ama i nemici e prega per loro.

Gesù è la pace.

Nel sangue della sua Croce

gli uomini tornarono ad essere

figli di Dio e fratelli fra loro.

Beati i perseguitati

Gesù è perseguitato, giudicato

e ingiustamente condannato,

perché non è sceso a compromessi.

Ha preferito obbedire a Dio

piuttosto che agli uomini.

Si è consegnato volontariamente

nelle mani dei persecutori.

Con il suo amore obbediente distrugge

la disobbedienza del peccato;

con la sua morte vince la morte;

con la sua risurrezione

dona agli uomini

un futuro e una speranza

e li introduce nel regno di Dio.

Gesù è il regno di Dio.

La via delle Beatitudini – II

Il grande annuncio della

“via nuova”

[1] Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.

[2] Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:

[3] “Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.

[4] Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.

[5] Beati i miti, perché erediteranno la terra.

[6] Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.

[7] Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.

[8] Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.

[9] Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.

[10] Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

[11] Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

[12] Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

Matteo 5, 1-12

Le Beatitudini annunciate da Gesù, a una lettura immediata sconcertano, perché contraddicono la mentalità comune che dice: “Beati i ricchi”, “beato chi sta bene”.

Sono infatti una provocazione radicale ed è questo che le rende da sempre affascinanti.

Ci dice San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi: “Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.” (1 Corinzi 1, 27-29)

La logica di Dio è ben diversa dalla logica degli esseri umani. Si contrappongono! La logica di Dio è l’Amore, che si riassume nella Croce.

Dio è Amore e la sapienza di Dio è cercare l’Amore, cioè l’interesse dell’altro. Mentre la mentalità dell’uomo è cercare il mio interesse e quindi la sapienza dell’uomo è egoistica, è una sapienza di dominio, è una sapienza di potere, di distruzione e di morte.

Dall’altra parte c’è invece la sapienza di vita che è quella di Dio.

Da una parte abbiamo la strategia mondana che ricerca appunto l’avere, l’avere di più, le ricchezze, perché quelle permettono tutto, e la persona saggia ed intelligente è quella che riesce ad averle, amministrarle, aumentarle; attraverso queste ricchezze tu puoi esercitare il potere, cioè hai un influsso sulle persone, domini, sei libero, e attraverso questo influsso vali, ti senti qualcuno. E tutto il male l’uomo lo fa semplicemente per questo motivo.

Dall’altra parte c’è invece la sapienza di Dio che è Amore. L’Amore non cerca assolutamente il proprio interesse, quindi l’Amore si spoglia, l’Amore è povertà, è debolezza: l’Amore dà tutto fino a dar se stesso, l’unico suo potere è la debolezza estrema di offrirsi senza condizioni, come Gesù sulla Croce.

È chiara dunque questa tensione tra la sfida radicale del Discorso della Montagna da una parte e la limitatezza ed insufficienza umana dall’altra, che si rivelano nella messa in pratica di quella sfida.

La novità delle beatitudini

Gesù, diversamente dalla mentalità di questo mondo, proclama beate, le persone povere e sofferenti.

Queste sono beate in forza di un avvenire felice a loro promesso.

Una promessa di cui Dio si fa garante.

Un esempio può aiutarci a capire:

un malato che ha la certezza della sua guarigione è felice nella sua sofferenza. È felice non perché malato, ma perché ha la certezza della guarigione.

Il senso vero delle beatitudini, però, lo si comprende soltanto guardando Gesù.

Gesù non solo le ha proclamate, ma le ha anche vissute per primo.

Nel suo annuncio delle beatitudini c’è tutta la sua esperienza di uomo.

Esperienza che Egli invita a condividere.

Gesù è l’uomo libero da se stesso e dalle cose, l’uomo che dà a Dio il primo posto, l’uomo che ama la verità e la giustizia più della propria vita, l’uomo che ha risposto all’odio con l’amore: è l’innocente torturato e ucciso.

Gesù risorto, garante delle beatitudini

Di fronte alla morte di Gesù sulla croce, sembra che la vittoria del male sia totale e definitiva.

In realtà è solo temporanea e apparente.

Dio riuscita l’innocente ucciso, che ha creduto nell’Amore.

La risurrezione di Gesù è il segno della vittoria sul male e sulla sofferenza; il segno che la speranza della felicità futura non è una illusione.

Senza la risurrezione di Gesù, le beatitudini sarebbero parole prive di fondamento: un messaggio di alienazione e non di liberazione.

Cristo risorto è il garante delle beatitudini.

Il futuro felice, che le beatitudini promettono, è diventato realtà presente nella persona di Gesù morto e risorto.

Senza la fede in Lui, le beatitudini sono incomprensibili.

Esse non sono semplicemente dei comandamenti, ma sono dono, grazia, nuova possibilità di vita, vita nella certezza della salvezza eterna e nel realizzarsi dell’uomo, già su questa terra.

Questa pagina evangelica è la sintesi dell’insegnamento di Gesù sull’identità dell’uomo nuovo.

Dobbiamo anelare a esserlo!

Beato: “il termine originale non indica uno che ha la pancia piena o se la passa bene, ma è una persona che è in una condizione di grazia, che progredisce nella grazia di Dio e che progredisce sulla strada di Dio: la pazienza, la povertà, il servizio agli altri, la consolazione … Coloro che progrediscono in queste cose sono felici e saranno beati.” (Papa Francesco)

La via delle Beatitudini

La vita secondo il progetto di Dio

Che cosa devo intraprendere per vivere da persona umana?

Quali valori devo realizzare?

La luce della coscienza morale, cioè la capacità di distinguere il bene e il male e di agire di conseguenza, è la prima guida sulla via della giustizia e dell’amore.

Ma la coscienza è sottoposta alla pressione degli istinti e di una opinione pubblica non sempre conforme alla legge morale.

Così è facile giudicare le azioni non sul metro esigente della verità, ma secondo i nostri comodi o la mentalità della maggioranza, di questa nostra odierna società secolarizzata.

Il cristiano che sceglie Gesù come suo unico Maestro di vita, si lascia illuminare dalla sua parola e la accoglie come guida sicura della sua coscienza.

Per il cristiano Gesù è la via, la verità e la vita (cfr. Giovanni 14, 6)

La vita morale è una lotta.

Vivere nell’amore in un mondo dominato dall’egoismo e dall’ingiustizia, rifiutare di unirsi alla sua logica di dominio, di violenza, di sopruso significa andare incontro a inevitabili sofferenze.

La fedeltà alla coscienza morale può condurre a dover scegliere senza esitazione fra la giustizia e la propria vita.

Chi ci assicura che le sofferenze e la morte dell’uomo giusto non segnino la vittoria del prepotente e del malvagio?

Il cuore ha il presentimento che il male non può avere l’ultima parola, che il futuro è del bene.

La certezza però ci è donata da Gesù nelle beatitudini e soprattutto dal fatto che Lui per primo, l’Innocente, l’Agnello senza macchia, è stato ucciso ed è risuscitato a vita nuova.

Gesù con la sua Passione, Morte e Risurrezione ha vinto sul peccato, la malattia, la morte e il male in generale.

Da questa vittoria dell’Amore nasce la gioia di Pasqua e ci trasforma e ci rende donne e uomini nuovi.

Le persone educano la propria coscienza morale quando non si chiudono in se stessi, nell’autosufficienza dei propri ragionamenti, nel cedimento all’arroganza degli istinti o alla pressione delle opinioni dominanti, ma restano invece aperti e disponibili al confronto sereno e sincero con proposte esigenti, come ad esempio quelle del Vangelo.

Il Discorso della Montagna è stato un punto di riferimento della coscienza morale per generazioni e generazioni nei duemila anni del cristianesimo, sia per i cristiani, sia per i non credenti. E rimane sempre attuale.

I santi, che lo hanno vissuto concretamente, sono diventati esemplari della più alta umanità.

Vorrei quindi proporvi un itinerario che riguarda le Beatitudini e il Discorso della Montagna, che ci aiuta a vivere secondo la chiamata di Dio, per essere realizzati come persone, per tendere alla santità di vita e percorrere la via della gioia.

Un tema questo che ha illuminato tante persone, molto caro a me e affrontato recentemente anche da Papa Francesco durante le Udienze Generali a partire dal 29 gennaio di quest’anno.

Dice infatti il Santo Padre introducendo queste Catechesi:

“È difficile non essere toccati da queste parole di Gesù, ed è giusto il desiderio di capirle e di accoglierle sempre più pienamente. Le Beatitudini contengono la “carta d’identità” del cristiano – questa è la nostra carta d’identità -, perché delineano il volto di Gesù stesso, il suo stile di vita.”

E afferma ancora:

“Dio, per donarsi a noi, sceglie spesso delle strade impensabili, magari quelle dei nostri limiti, delle nostre lacrime, delle nostre sconfitte. È la gioia pasquale di cui parlano i fratelli orientali, quella che ha le stimmate ma è viva, ha attraversato la morte e ha fatto esperienza della potenza di Dio. Le Beatitudini ti portano alla gioia, sempre; sono la strada per raggiungere la gioia.”

Buon viaggio!!!

The Sermon on the Mount Carl Bloch, 1890

Tempo di Pasqua

PERCHÉ CERCATE TRA I MORTI COLUI CHE È VIVO?

Vangelo di Luca 24, 5
  • Gesù è risorto

Leggi: Luca 24, 1-12

[1] Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato.

[2] Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro;

[3] ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù.

[4] Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti.

[5] Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?

[6] Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea,

[7] dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno”.

[8] Ed esse si ricordarono delle sue parole.

[9] E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri.

[10] Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli.

[11] Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse.

[12] Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto.

Riflessione:                                    

Da quel mattino di Pasqua l’annuncio della Risurrezione continua a risuonare nel mondo: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui.”

Con la risurrezione di Gesù Dio ha dato una certezza nuova all’umanità: la morte non è l’ultima parola sulla vita dell’uomo! È questa la speranza cristiana: in Gesù risorto, Dio chiama ogni vivente alla vita nuova, alla vita eterna.

BUONA SANTA PASQUA

[3] Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, [4] per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, [5] che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi. [6] Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un pò afflitti da varie prove, [7] perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo: [8] voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, [9] mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime.

Prima Lettera di Pietro 1, 3-9

La gioia di Pasqua, che nasce dalla vittoria dell’amore sul peccato, la malattia e la morte, ci trasforma e ci rende donne e uomini nuovi.

Gesù morendo e risorgendo ha vinto tutto questo e ci ha donato la salvezza.

Siamo quindi chiamati a testimoniare questa gioia agli altri.

In particolare in questo periodo difficile, di dolore e di sofferenza, dove tutti siamo privati dei nostri agi e di alcune libertà per il bene comune, dobbiamo continuare a sperare nella Risurrezione di Gesù.

Egli è venuto per donarci il suo amore misericordioso e la vita eterna.

Buona Santa Pasqua di Risurrezione!

Vi lascio con due brani del Rinnovamento nello Spirito Santo, che cantano la gioia di Pasqua:

Vivere la Quaresima

Venerdì Santo

VOLGERANNO LO SGUARDO A COLUI CHE HANNO CROCIFISSO

Vangelo di Giovanni 19, 37/ Libro di Zaccaria 12, 10
  • Morte di Gesù
  • La sepoltura
Sommità del Calvario all’interno della Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme

Leggi: Matteo 27, 45-66

[45] Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.

[46] Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: “Elì, Elì, lemà sabactàni?”, che significa: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

[47] Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: “Costui chiama Elia”.

[48] E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere.

[49] Gli altri dicevano: “Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!”.

[50] E Gesù, emesso un alto grido, spirò.

[51] Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono,

[52] i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono.

[53] E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.

[54] Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: “Davvero costui era Figlio di Dio!”.

[55] C’erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo.

[56] Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.

[57] Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù.

[58] Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato.

[59] Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo

[60] e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò.

[61] Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l’altra Maria.

[62] Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo:

[63] “Signore, ci siamo ricordati che quell’impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò.

[64] Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest’ultima impostura sarebbe peggiore della prima!”.

[65] Pilato disse loro: “Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete”.

[66] Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.

La Pietà di Michelangelo – Basilica di San Pietro in Vaticano

Riflessione:                                    

Quando Gesù emette l’ultimo respiro e muore, con la preghiera sulle labbra e nella più assoluta fedeltà a Dio, in realtà è la morte ad essere sconfitta. Davanti a Gesù che muore in questo modo, chi ha fede può dire: “Quest’uomo è davvero Figlio di Dio!”

Gesù compie fino in fondo la volontà del Padre. Attua l’amore infinto di Dio per gli uomini a prezzo della propria vita. Egli è il Figlio obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

Gesù morendo nudo, povero e solo su una croce, sacrificando la Sua vita per noi, ha rivelato che l’uomo si realizza non nel possesso delle cose e nel dominio degli altri, ma nell’amore gratuito, totale e incondizionato.

La Pietra dell’Unzione – Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme

Vivere la Quaresima

Venerdì della VI settimana

Oggi vorrei riproporvi quello che abbiamo vissuto venerdì scorso, il 27.03.2020, durante la funzione voluta dal Santo Padre di fronte alla pandemia di coronavirus.

“Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori”, sappiamo “che Tu hai cura di noi”, ha detto prima dell’adorazione del Santissimo Sacramento e della Benedizione Urbi et Orbi, alla quale è stata annessa la possibilità di ricevere l’indulgenza plenaria.

È stato un momento che passerà alla storia. In una piazza San Pietro insolitamente vuota e sotto la pioggia battente, la riflessione di papa Francesco e i suoi gesti hanno toccato i cuori di credenti, agnostici e atei.

Nel silenzio di questa piazza il Pontefice però non era solo: con lui c’erano la Santissima Vergine Maria, rappresentata dall’icona della Salus populi romani, da sempre venerata in Santa Maria Maggiore, e il crocifisso ligneo della chiesa di San Marcello al Corso, che protesse Roma dalla “grande peste”.

Credo sia uno spunto importante per il nostro cammino di fede.

Vangelo secondo Marco 4, 35-41

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.

Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».

Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».

E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Commento del Santo Padre:

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.

È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).

Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.

La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.

Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.

Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.

Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).

Meditiamo queste toccanti parole, ascoltando questo canto del Rinnovamento nello Spirito Santo:

Vivere la Quaresima

Venerdì della V settimana

“UOMO DEI DOLORI CHE BEN CONOSCE IL PATIRE

Libro di Isaia 53, 3
  • Il servo del Signore

Leggi: Isaia 52, 13 – 53, 12

[13] Ecco, il mio servo avrà successo,
sarà onorato, esaltato e molto innalzato.

[14] Come molti si stupirono di lui
– tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto
e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo –

[15] così si meraviglieranno di lui molte genti;
i re davanti a lui si chiuderanno la bocca,
poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.

53

[1] Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore?

[2] È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.
Non ha apparenza né bellezza
per attirare i nostri sguardi,
non splendore per provare in lui diletto.

[3] Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.

[4] Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.

[5] Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti.

[6] Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,
ognuno di noi seguiva la sua strada;
il Signore fece ricadere su di lui
l’iniquità di noi tutti.

[7] Maltrattato, si lasciò umiliare
e non aprì la sua bocca;
era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori,
e non aprì la sua bocca.

[8] Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte.

[9] Gli si diede sepoltura con gli empi,
con il ricco fu il suo tumulo,
sebbene non avesse commesso violenza
né vi fosse inganno nella sua bocca.

[10] Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori.
Quando offrirà se stesso in espiazione,
vedrà una discendenza, vivrà a lungo,
si compirà per mezzo suo la volontà del Signore.

[11] Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.

[12] Perciò io gli darò in premio le moltitudini,
dei potenti egli farà bottino,
perché ha consegnato se stesso alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori.

Riflessione:

La donazione del Servo del Signore è totale e docile, come quella dell’agnello sacrificale, che si immola per ciascuno di noi, per la nostra salvezza.

Gesù ha condiviso il nostro destino di sofferenza e di morte, ha donato la Sua vita per noi sul legno della croce. Così ci ha rivelato che Dio è Padre, che Dio è Amore, che Dio ci ama di un amore infinito.

Gesù spezza il cerchio della violenza. Va volontariamente incontro alla morte, sconfigge l’odio che uccide con l’amore che perdona e dà la vita.

Vivere la Quaresima

Venerdì della IV settimana

LO COSTRINSERO A PRENDER SU LA CROCE DI LUI

Vangelo di Matteo 27, 32
  • La corona di spine
  • Sulla via del calvario
  • La crocifissione

Leggi: Matteo 27, 27-44

[27] Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte.

[28] Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto

[29] e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: “Salve, re dei Giudei!”.

[30] E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo.

[31] Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.

[32] Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirène, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui.

[33] Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio,

[34] gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere.

[35] Dopo averlo quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte.

[36] E sedutisi, gli facevano la guardia.

[37] Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: “Questi è Gesù, il re dei Giudei”.

[38] Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

[39] E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo:

[40] “Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!”.

[41] Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano:

[42] “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo.

[43] Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!”.

[44] Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.

Gesù cade sotto il peso della croce
Particolare di una cappella – Via Dolorosa a Gerusalemme

Riflessione:

I soldati non potevano perdere l’occasione di prendersi gioco di questo povero illuso che diceva di essere il Re dei Giudei. Ne fanno un sovrano da burla: un manto rosso sulle spalle, una canna nella mano destra e una corona di spine. Lo scherniscono, Gli sputano addosso, Lo bastonano.

Spogliato di tutto, anche della Sua dignità umana, Cristo assume la sorte degli uomini e delle donne emarginati e oppressi, privati di ogni diritto e dignità.

Gesù ha accettato di bere fino in fondo il “calice” che il Padre Gli ha offerto. Rifiuta il vino drogato perché vuole morire in piena coscienza e libertà.

Gesù è stato crocifisso alle nove, l’ora in cui i sacerdoti ebrei immolavano a Dio il sacrificio del mattino. Gesù è la nuova vittima sacrificale che apre il giorno nuovo della salvezza. Questo agli occhi della fede. Ma allo sguardo soltanto umano, la Passione e Morte appaiono un completo fallimento e scandalo. Gesù non salva se stesso, non scende dalla croce e il Padre non interviene in Suo favore. Bisogna aspettare il giorno dopo il sabato per contemplare la vittoria di Dio.